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Wu-Tang, strategie di un Clan

Wu-Tang, strategie di un ClanLa copertina di «Enter the Wu-Tang (36 Chambers)», album di debutto del Wu-Tang Clan

Anniversari/Nel novembre 1993 usciva il primo album del collettivo rap Un disco fondamentale che ha saputo descrivere al meglio il caos di un periodo turbolento negli Usa

Pubblicato 12 mesi faEdizione del 14 ottobre 2023

Nonostante si parli molto più spesso delle faide, nella storia dell’hip hop le svolte unitarie hanno lasciato spesso il segno. È successo, per esempio, proprio agli albori di questa cultura urbana, nella prima metà degli anni Settanta, quando le circa cento gang che da tempo si contendevano con la violenza spicchi di territorio nel Bronx, a seguito dell’omicidio di un rispettato paciere, hanno trovato una via per un’intesa e, nel giro di poco tempo, si sono trasformate in crew, gruppi di persone che vivevano la passione per rap, writing, breaking e djing con un sano spirito di competizione. Ma è accaduto anche per vicende più circoscritte e una di queste è la formazione del Wu-Tang Clan, collettivo newyorkese fondamentale nella storia del rap. Se uno dei più noti pionieri dell’hip hop, Afrika Bambaataa, ha fatto parte di una gang ma, dopo un’evoluzione consapevole ne ha preso le distanze e ha iniziato a promuovere questa cultura con il motto «peace, love, unity and having fun» (pace, amore, unità e divertimento), passati vent’anni, nella prima metà dei Novanta, il folto collettivo del Wu-Tang Clan, è nato quando alcuni dei suoi membri hanno messo da parte i rancori dei trascorsi nelle bande che si contendevano le zone di spaccio di Staten Island.

UNA VIA DI FUGA
L’entusiasmo per il rap – che proprio in quel periodo storico è esploso definitivamente – ha dato una via di fuga alternativa dalla routine insana del «ghetto» al leader RZA e ai suoi soci che componevano questo super-gruppo. Nella storia dell’hip hop internazionale, non solo di quello Usa, ci sono molti artisti con un passato da spacciatori. Di solito dipende dal fatto che, nei quartieri più disagiati, per sognare una svolta economica, lo spaccio è una strada facilmente praticabile ma, visti gli alti rischi che comporta, non tutti decidono di batterla fino alle estreme conseguenze. Alcuni rapper rivendicano un passato da pusher non semplicemente nei testi, che potrebbero essere un’alterazione della realtà, ma anche nel racconto reale della propria vita. I fratelli che compongono il duo francese dei PNL, in un comunicato stampa dettagliato e sui generis del 2019, hanno raccontato, per esempio, come la vita in banlieue li abbia «indotti presto a spacciare per provvedere ai loro bisogni e a quelli della loro famiglia». Successivamente hanno deciso «di investire i soldi provenienti dalla droga per finanziare la loro impresa musicale». Oggi, pur non avendo mai rilasciato interviste, si può ben dire che si siano presi la loro rivalsa perché sono delle vere star internazionali. Il Wu-Tang Clan, in un’epoca precedente, in un paese diverso e, soprattutto, con tutt’altro stile, ha fatto qualcosa di simile, come raccontato, con qualche concessione alla finzione e alla spettacolarizzazione, nella serie tv dedicata alla storia del gruppo, Wu-Tang: An American Saga, che ha esordito nel 2019 ed è finita proprio quest’anno con la terza stagione.
In questo 2023 compie trent’anni l’album di esordio del supergruppo, Enter the Wu-Tang (36 Chambers) – pubblicato, appunto, a novembre del 1993 – in cui rappano RZA, Method Man, U-God, Inspectah Deck, Raekwon, Ghostface Killah, Ol’ Dirty Bastard, GZA aka The Genius e, da ospite, Masta Killa. Nel 2022, invece, è finalmente uscito anche in italiano un gran bel saggio che lo celebra: Camere oscure. Il mondo del Wu-Tang Clan (Edt) di Will Ashon, scrittore, giornalista musicale ed ex discografico inglese che ha fondato e diretto per anni la Big Dada, innovativa etichetta hip hop affiliata alla Ninja Tune. Nella prima parte del libro, Ashon sottolinea come l’uscita di questo disco abbia stravolto il mercato discografico perché RZA, come ha dichiarato, ha scelto l’offerta più bassa da parte di un’etichetta, la Loud Records, per avere, a fronte di un anticipo di soldi ridotto, «più libertà nel lungo periodo e guadagni totali più elevati». In pratica il leader del Clan ha cambiato il sistema della discografia di allora e lo ha fatto creando grande clamore attorno alla loro ascesa per poi vendere il collettivo «a pezzi». Ogni membro, infatti, ha potuto firmare per un’etichetta diversa da quella del gruppo e così sul mercato, alla fine, c’erano tanti discografici interessati al successo del disco collettivo. Come riporta Ashon, sempre RZA ha detto: «Questa era la mia strategia originale: inserire artisti in luoghi diversi e far collaborare quelle diverse etichette a favore del mio marchio». Una mossa che ha pagato anche grazie alla potenza di tutta la parte artistica del disco, cominciando da una foto di copertina enigmatica corredata da un logo «magnetico».

FLUSSO DI RIME
Musicalmente Enter the Wu-Tang (36 Chambers) ancora oggi è un documento molto importante per come ha immortalato il caos di quel tempo. Le dodici canzoni del disco, con quel flusso continuo di rime collettive, quelle voci degli skit, quelle basi nervose o incalzanti, intrise di campionamenti di dischi soul e dell’audio di film di arti marziali, rappresentano bene, infatti, sia il fervore dell’incontro e della convivenza di vari talenti e stili, tutti con una storia personale travagliata legata alle grandi disuguaglianze sociali – esasperate in una città come New York -, sia il melting pot di una metropoli sterminata. Era un periodo caldo, c’era ancora la scia lunga dell’epidemia del crack e, una settimana prima dell’uscita del disco, era stato eletto sindaco di New York il repubblicano Rudolph Giuliani che, entrato in carica dal 1° gennaio 1994, si sarebbe guadagnato in fretta il soprannome di «sceriffo» per la sua linea dura che comprendeva anche la «tolleranza zero» verso i graffiti.
Il disco, oltre a fondere varie intuizioni e passioni, è ruvido, crudo, trasmette l’autenticità della strada e restituisce bene il «rumore» di un’ascesa dal basso del rap che, dopo essersi fatto notare negli anni Ottanta, da questa prima metà degli anni Novanta in poi, subirà poche battute d’arresto – superandole sempre – e conquisterà gran parte del mondo, spesso grazie a un’urgenza ravvisabile di rado in altri generi musicali. Nella storia del rap si sono alternate continuamente epoche in cui hanno prevalso artisti solisti a quelle in cui sono andati per la maggiore i gruppi. Negli anni intorno all’uscita di Enter the Wu-Tang (36 Chambers) le due tendenze erano praticamente equivalenti perché di fianco ai vari Dr. Dre, Snoop Dogg, Nas, The Notorious B.I.G., Tupac Shakur o KRS-One (dopo lo scioglimento dei Boogie Down Productions) si parlava molto anche degli Arrested Development, dei Gang Starr, dei Cypress Hill, dei Pharcyde, dei Digable Planets e di tante altre esperienze simili. Il Wu-Tang Clan si è presentato come una realtà a sé, il gruppo più folto in circolazione, un vero e proprio collettivo che, preso atto della violenza e delle difficoltà quotidiane a cui sembrava condannato, ha capito, non senza qualche resistenza, come l’unità e la convivenza fossero fondamentali per il bene di ogni singolo membro e ha imposto la propria strategia ai piani alti: una sorta di compimento di un’utopia sociale più che la realizzazione del sogno americano, come lascia intendere la serie tv, che punta molto sulla contagiosa determinazione di RZA a vivere di musica. Dal 1993 in poi, il prosieguo della loro carriera, che ha visto alcuni membri attivi non solo nella musica ma anche nel cinema, ha dimostrato come questo punto di partenza, questo esordio dirompente, sia stato letteralmente fondamentale.

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