Dopo la favolosa New York di Truman Capote (Capote) e il mondo del baseball ridotto in numeri (il sottovalutato Moneyball) , l’ex documentarista (The Cruise) Bennett Miller punta l’occhio su un’altra grande storia «made in Usa». Strappato (come i suoi film precedenti) alla cronaca, Foxcatcher è il racconto dell’improbabile rapporto tra l’erede di una delle più potenti e antiche famiglie americane e due famosi campioni di wrestling, un rapporto che si interruppe definitivamente quando, nel 1996, John Eleuthere du Pont uccise a pistolettate l’ex medaglia d’oro olimpica Dave Schultz, che il miliardario aveva assunto, insieme al fratello Mark per allenare la sua squadra di lotta libera, i Foxcatcher.

Appassionato, oltre che di wrestling, anche di filatelia e di ornitologia (scrisse studi su uccelli rari delle Filippine), mancato in prigione nel 2010, John du Pont non è l’unico erede di dinastie multimiliardarie americane ad aver superato il confine tra eccentricità e true crime – proprio in questi giorni, grazie alle rivelazioni apparse in una serie non fiction di HBO, The Jinx, è tornata nelle news la storia di Robert Durst, discendente di una grande famiglia dell’immobiliare newyorkese che probabilmente ha ucciso tre persone (tra cui la giovane prima moglie e un anziano vicino di casa che poi ha tagliato a pezzi), ma che nessuno è ancora riuscito a incastrare.

Come quella di Durst, portata al cinema in All Good Things di Andrew Jarecki (che è anche produttore di The Jinx, e che aveva affidato a Ryan Gosling il ruolo del diabolico protagonista), la storia di du Pont, era stata gioiosamente gettonata dai tabloid in tutto il suo potenziale voyeurista e di rivendicazione di classe. A Miller, però non interessa quella dimensione pulp/popolare. Desaturato sia emotivamente che nel colore, il suo è più lo studio di una patologia.

La caccia alla volpe (evocata dal nome della squadra) sembra un’occupazione decisamene più idonea a un duPont della lotta libera. Ma, osservato a distanza e con un certo disgusto da sua madre (Vanessa Redgrave), che ama solo i cavalli, John duPont (il comico Steve Carell con un’enorme protesi al posto del naso), nella sua sterminata tenuta in Pennsylvania, dove non vengono mai a trovarlo amici, parenti e/o fidanzate, coltiva con cura e disciplina sinistre un gruppetto di lottatori, capitanati dai fratelli Schultz. Lo strano esperimento di laboratorio (filmato da Miller con solennità quasi breachtiana), e la messa a confronto di estrazioni sociali radicalmente opposte sono destinati a finire malissimo.

Channing Tatum è Mark Schulz, che ha l’espressività di un gorilla e non è troppo sicuro di sè. Mark Ruffalo è Dave, il maggiore dei due e il più socialmente funzionante. Insieme a quella di Carrell, anche le loro interpretazioni «da Oscar», incombono con troppa prepotenza in questa paziente, dettagliata, ricostruzione di milieu. Freddo, preciso, come filtrato dalla lente di un microcopio, Foxcatcher è un’esperienza senza respiro e che non lascia respirare chi lo guarda. Purtroppo, l’innegabile talento antropologico di Miller qui sembra usato solo fine a se stesso.