Probabilmente nessuno, in Italia, conosce Virginia Woolf come Nadia Fusini, della quale da Electa è appena uscito Woolf. A – Z (pp. 296, euro 34). Del resto a questa scrittrice si è dedicata da anni, forse più che a qualunque altro dei suoi autori d’elezione (quali Shakespeare e Keats su tutti): studiandola, raccontandola, interpretandola, traducendola.

Ma soprattutto giocando insieme a lei, nello stesso senso in cui anche Virginia Woolf, com’è proprio Fusini ad affermare, giocava con la scrittura e conl’esistenza, dove l’una era quasi perfettamente coincidente con l’altra. E cos’altro è Woolf. A – Z se non una nuova, raffinatissima frontiera di questa attività ludica che sempre si rinnova, attraverso modalità e forme diverse?

QUI LA FORMA è quella del sillabario, o meglio del vocabolario, e dunque della suddivisione del discorso per lettere dell’alfabeto (inglese, per la precisione, più lungo di quello italiano): per ogni lettera una parola o un nome o un luogo; per ogni parola o per ogni nome o luogo un tópos; per ogni tópos una scheggia, un’illuminazione.

Dalla «A» di «Amore saffico» alla «B» di «Bloomsbury», alla «L» di «Leonard Woolf» alla «Z» di «Zoe, bios», ciò che va componendosi, lettera dopo lettera, lemma dopo lemma, è poco meno – anzi, poco più – di una biografia. È il racconto di una vita, corredato anche di immagini e foto, svolto non solo e non tanto per via descrittiva, quanto soprattutto per via suggestiva e, forse, sentimentale.

Non esiste realtà che non sia frutto dell’immaginazione, scrive Nadia Fusini, perché è nel cuore, nella sua capacità immaginativa e rielaborativa, che va cercato il senso di una vita, più che nella fredda conservazione di una memoria fattuale.

Tutta l’opera woolfiana potrebbe essere accolta – leggiamo sotto la «A» di «Animus, anima» – come «la traiettoria di un’anima in cerca di sé stessa»: ed è esattamente qui, in questa coincidenza fra dentro e fuori, fra l’anima e l’opera, fra la vita e la scrittura, che Virginia Woolf manifestava il suo essere «foemina ludens», quella sua attitudine a giocare che Nadia Fusini le attribuisce e le riconosce – come ci spiega ad esempio sotto «Amore saffico» (in riferimento all’amore per Vita Sackville-West): «Virginia recita, plays (…) trasportando il gioco nella direzione di quello che il gioco è anche in inglese – una recita, un teatro. Una finzione per dire la verità, per far esistere la verità dell’amore».

DETTO ANCORA ALTRIMENTI: nella visione del mondo di Virginia Woolf, quale mostrataci da Fusini, è solo per il tramite della parola – poetica in particolare – che la realtà può prendere vita, perché si tratta di una visione nella quale la scrittura non si limita a rappresentare la realtà bensì le dà corpo tout court, la materializza, o addirittura la origina (e non a caso «Embodiment», «incarnazione», è uno dei lemmi centrali di questo vocabolario).

In Woolf. A – Z Nadia Fusini sembra divertirsi insieme alla sua autrice di maggior elezione. L’impressione è che lo faccia, a sua volta, partendo da sé stessa: le parole del vocabolario di Virginia Woolf potrebbero essere anche le sue, a tal punto sembrano intonate al suo medesimo sentire.

Le due voci sembrano confondersi, perfino sovrapporsi: chi è l’una, chi l’altra? Chi delle due narra, davvero, di pagina in pagina? È Fusini, certo, a parlare della scrittrice, ma assimilandola a sé come forse mai aveva fatto prima d’ora – e offrendole, di rimando, nuovo fiato attraverso il proprio. Dentro una reciprocità che rappresenta anche una forma di amore, per il tramite della letteratura.