La canzone folk This Land Is Your Land (Questa terra è la tua terra) fu scritta da Woody Guthrie nel 1940. È diventata nel corso del tempo una sorta di inno non ufficiale degli Stati Uniti. È un invito alla condivisione e all’accoglienza, ispirato a un brano gospel e interpretato nel corso degli anni da tutti i più grandi artisti americani. È anche un canto dalle venature socialiste. Nacque infatti come risposta all’ottimismo patriottico di God Bless America di Irving Berlin e nell’edizione originaria conteneva due strofe dedicate ai poveri e contro la proprietà privata che scomparvero poi da molte versioni successive del brano. Non è un caso se oggi il democratico Bernie Sanders, l’unico candidato in lizza per la nomination presidenziale che non ha timore di definirsi socialista, usa la preghiera laica di Guthrie come colonna sonora della sua campagna. Lo scorso 24 febbraio ha omaggiato il grande cantastorie visitando il Woody Guthrie Center a Tulsa, in Oklahoma, lo stato in cui l’artista girovago era nato. «Le sue canzoni hanno descritto la realtà della working class ed è incredibile pensare come la sua musica sia ancora così viva e attuale in questo paese e nel mondo» ha detto il rivale di Hillary Clinton.
Ma Woody Guthrie in realtà ha più collegamenti con un altro candidato in lizza per la Casa Bianca: Donald Trump. La storia è stata scovata da Will Kaufman, biografo dell’artista folk e professore di letteratura e cultura americana nell’Università del Central Lancashire nel corso di una ricerca compiuta proprio negli archivi del Woody Guthrie Center. È emerso che una delle figure identificate dal cantante come simbolo dell’oppressione capitalista era il padre di Donald, Fred Trump.
Come tanti episodi dell’epica americana, anche la storia della dinastia Trump inizia da un immigrato. Friedrich Trump arrivò alla fine dell’Ottocento a New York dalla Germania quando era ancora lontana l’idea di costruire muraglie anti-migranti. Fece mille lavori, partecipò alla corsa all’oro nelle regioni del Klondike per poi aprire un’azienda del settore immobiliare. Il figlio Fred, genitore del futuro candidato, raccolse da giovanissimo l’eredità del padre e si affermò rapidamente nel mondo delle costruzioni di New York, città che nella prima metà del XX secolo conobbe un furibondo sviluppo edilizio. Il suo business principale era l’edilizia residenziale per le classi più povere. Da Coney Island a Brooklyn al Queens, la Grande Mela si riempì di case a basso costo costruite dalla ditta Trump. Guthrie, che proveniva da una famiglia povera e aveva vissuto da girovago per poi diventare un marinaio nella seconda guerra mondiale, incrociò il costruttore nel dicembre del 1950 quando affittò un appartamento a Brooklyn. Il contratto riporta oggi, nella stessa pagina, le firme di Guthrie e del padre di Donald, Fred Trump. Il cantautore passò due anni in quella casa e le ricerche del professor Kaufman hanno fatto emergere una serie di appunti inediti dell’artista che dimostrano il vivo disprezzo che provava per il palazzinaro e per il suo spregiudicato modo di fare affari.
Guthrie infatti scoprì ben presto che il quartiere dove si era trasferito con la famiglia, chiamato Beach Haven, obbediva a criteri razziali ben precisi e l’appartamento, che aveva ottenuto con facilitazioni derivanti dal suo status di veterano di guerra, faceva parte di una serie di case che potevano essere date in affitto solo ai bianchi. I diari di quegli anni dell’artista sono pieni di risentimento per un vicinato in cui vedeva quel fanatismo e quel razzismo che aveva combattuto con le sue canzoni da quando aveva iniziato a girare l’America della depressione con la chitarra e l’armonica a bocca. Vedeva tradita la visione che aveva ispirato il New Deal rooseveltiano. Il tutto a favore di un capitalismo che puntava sull’edilizia popolare solo per arricchirsi. I suoi appunti vagheggiano la distruzione di quella barriera e la creazione di un quartiere multirazziale. Nei suoi scritti invita idealmente una giovane ragazza nera a rompere il muro del pregiudizio e a trasferirsi in quelle case: «Ti do il benvenuto. Do il benvenuto a te e tuo marito. Qui a Beach Haven. Per avere un posto decoroso in cui avere un figlio e crescerlo. Ti grido il mio benvenuto». In altri versi sparsi attacca Trump e la miserabile visione di chi costruiva case popolari per poi escludere di fatto i più poveri. «Il vecchio Trump sa. Quanto odio razziale scatena nel profondo del cuore umano quando traccia una linea del colore qui, tra i suoi milleottocento appartamenti». Woody arrivò anche negli appunti di quegli anni a riscrivere il testo di una delle sue canzoni più celebri I Ain’t Got No Home in chiave anti-Trump: «Beach Haven non è casa mia! Non posso pagare questo affitto! Beach Haven è un paradiso dove i neri non possono entrare! No, vecchio Trump! Beach Haven non sarà mai casa mia!».
I versi di queste canzoni sono rimasti abbozzi nascosti negli archivi per decenni fino alle ricerche di Kaufman. Guthrie non le inciderà mai. Per lui era già iniziato un declino crudele. L’America del maccartismo e della caccia alle streghe contro i comunisti lo aveva già messo in disparte, ma non fu tradito dalla mancanza di coraggio nell’opporsi all’ostracismo, bensì dalla salute. In quegli anni iniziò a mostrare segni di un comportamento aggressivo e imprevedibile. Venne ritenuto alcolizzato e schizofrenico. In realtà emerse che era affetto dal morbo di Huntington, una rara malattia genetica degenerativa inguaribile che aveva già ucciso la madre. Il cantautore, per non essere pericoloso per la famiglia, lasciò New York, tornò alla vita dell’hobo vivendo tra California e Florida. Nel 1956 la sua salute era così compromessa da costringerlo al ricovero in istituti psichiatrici, dove rimarrà confinato fino alla morte avvenuta nel 1967. Le sue invettive e denunce contro Trump vennero perse e dimenticate. Nel 1954 Fred Trump venne messo sotto inchiesta da una commissione del Senato per aver approfittato degli appalti pubblici incrementando i prezzi delle case di Beach Haven per 3,7 milioni di dollari. Nel 1979 un’inchiesta del settimanale newyorkese Village Voice riportò alla luce diversi casi sollevati dalla Divisione per i Diritti Civili del Dipartimento della Giustizia americano contro il costruttore. Erano emerse «condotte discriminatorie messe in opera dagli agenti di Trump» che avevano creato «un impedimento sostanziale alla realizzazione di opportunità uguali per tutti». Le case date in costruzione alla Trump venivano assegnate con criteri razzisti e con una serie di pratiche pensate per allontanare le famiglie afroamericane.
Guthrie, che aveva denunciato i pregiudizi razziali dei potenti e della polizia sin dagli anni Trenta, queste strategie le conosceva bene e le aveva capite. Negli anni Settanta Fred Trump lasciò il timone della ditta al figlio Donald che sulla scorta del successo del padre costruirà un impero. «Quello che ho fatto ha le radici in quello che ha fatto mio padre» afferma oggi il magnate, passato dalle case popolari ai grattacieli e ai casinò, transitato dai reality show e ora avviato a una corsa da front runner per la nomination repubblicana.