È ripartito in presenza sulle rive del Douro, il WOMEX (27-31 ottobre), la fiera itinerante delle musiche del mondo (nel 2022 resterà in Portogallo, a Lisbona), organizzata da Piranha Arts. Nonostante le restrizioni pandemiche, la kermesse ha radunato 2.600 partecipanti tra delegati, in larga parte agenzie di promozione artistica, rappresentanti di festival, organizzazioni e partenariati istituzionali nazionali e regionali e, naturalmente, artisti, questi ultimi provenienti da 102 paesi, che hanno suonato in poco più di 60 showcase.

L’ASSETTO DELLA FIERA è consolidato, dalla mattina al pomeriggio incontri tra operatori, proiezioni di film, dibattiti e 2 showcase diurni, la sera concerti e DJ set. Rispetto agli allestimenti pre-pandemici, in questa edizione ventisette si è avvertita la mancanza di molte realtà culturali extraeuropee, ma era pressante la necessità per i Womexicans di ritrovarsi per tracciare nuove strade nel calderone musicale denominato world music. Alla fiera, la delegazione italiana si è presentata per la prima volta sotto l’ombrello di Italia Music Export, sintomo confortante di un sentire condiviso, sebbene l’Italia sia percepita ancora troppo «Pugliacentrica». Inaugurazione alla Casa da Música, principale sala da concerto, affacciata sulla Rotunda da Boavista. Porto ReFolk Express ha inteso re-immaginare le tradizioni musicali portoghesi con mini showcase, in cui abbiamo apprezzato le fioriture polivocali delle Sopa de Pedra.

CINQUE LE VENUE dei concerti serali, Teatro Sá Bandeira per l’offWomex, Coliseu Stage, Teatro Nacional de São João e Teatro Rivoli riservati alla selezione ufficiale. Infine, Ard Cub ha accolto il DJ set notturni. All’Alfândega do Porto, l’ex-dogana riconvertita in centro congressi, sede della fiera, la matinée degli showcase: qui si esibiscono in maniera più raccolta, solo per gli addetti ai lavori, artisti portatori di uno stile, come Brìghde Chaimbeul, dall’isola di Skye, giovane suonatrice di Smallpipes, cornamusa a mantice dal suono scuro e ovattato. Dall’incedere ipnotico delle pipes alla maestria di due nerd turchi delle corde, Tolgahan Çogulu (chitarra microtonale) e Sinan Ayyildiz (saz a doppio manico), propugnatori di un un makam jazz che ibrida i modi classici anatolici con l’improvvisazione. Di grande impatto il recital di Maria Mazzotta, accompagnata alla fisarmonica da Antonino De Luca. La Edith Piaf del Salento, come è stata definita, ha raccolto vasti e meritati consensi.

PASSANDO AL CARTELLONE serale, la sovrapposizione di eventi e le procedure di accesso e uscita determinate dalle misure sanitarie hanno creato qualche problema a chi ha deciso di adeguarsi alla bulimia sonora womexiana. L’offerta si è confermata diversificata (seppure un tantino sotto tono nella selezione degli artisti). Si è passato da progetti più assimilabili alla tradizione folklorica: pensiamo a Morgan Toney, rappresentante della first Nation di Nova Scotia, che fonde il suo retaggio con la tradizione violinistica di Cape Breton, o alla ritualità zar degli egiziani Mazaher. Tra le produzioni più estreme, da segnalare il mood balkan-funk-prog-impro dei serbi Naked. Insomma, a smuovere passionalmente il pubblico internazionale è soprattutto chi rimescola linguaggi diasporici o testimonia stratificazioni multiculturali: è il caso della mezcla degli apolidi Ayom o della world cool (pure troppo) dei Bokanté. Ma a sbancare è stato il formidabile quartetto marocchino-francese Bab L’Bluz. Guidati dalla carismatica front-woman Yousra Mansour, i quattro fanno confluire ritmi gnawa, chaabi e hassani, elementi berberi e subsahariani che incontrano, felicemente, funky, rock e blues.

LA PATTUGLIA lusofona ha messo in campo, tra gli altri, il canto di Vitorino, le chanteuse Lucia de Carvalho e Neuza, il groove del cantante e polistrumentista Miroca Pais e l’ottetto Bandé-Gamboa, che rimette in circolo motivi che hanno accompagnato l’indipendenza di Guinea Bissau e Capo Verde, negli stili locali gumbé e funana, nel segno dell’utopia di Amilcar Cabral. Chi propendeva per ricercatezze sonore non ha mancato i set del veterano bahiano Mateus Aleluia, del suo conterraneo chitarrista Lucas Santtana o il flamenco contemporaneo di Daniel Casares. Applaudita anche la teatralità del fado dark & minimale di Lina_Raul Refree. Come in ogni rassegna c’è un coup de cœur che – per chi scrive – è stato il chamber folk del trio svedese Northern Resonance, combinazione di inusitati strumenti: viola d’amore, hardangerfele, violino baritono e nyckelharpa con intersezioni timbriche tra corde che vibrano per risonanza.

IL WOMEX indirizza istanze politiche attraverso film e conferenze, ma anche tramite l’Artist Award, assegnato quest’anno ad Aynur, curda nata in Turchia ma residente in Olanda. La cantante ha ricevuto il riconoscimento nella cerimonia conclusiva, portando sul palco del Tivoli un set raffinato e vibrante, che sposa espressioni musicali delle origini a stilemi jazz e improvvisativi: standing ovation.