Come una voce off i pensieri della poetessa plasmati in poesia solcano sin dalle prime pagine il graphic novel a lei dedicato: Wisława Szymborska. Si da’ il caso che io sia qui, scritto e disegnato da Alice Milani, edito da Beccogiallo, che si presenta proprio questo fine settimana al Lucca Comics and Games. Il libro inizia sommesso, come il giorno: la poetessa, svegliata dalla voce della poesia che chiede di essere scritta, affronta i consueti rituali mattutini: si alza dal letto-immaginiamo che lo faccia lentamente, assonnata- apre la finestra e, seduta al tavolo della cucina, si beve un caffè mentre la luce entra nella pagina e fa brillare le tavole pittoriche dell’autrice, esaltandone la grande varietà cromatica e tingendo di chiaroscuri i numerosi dettagli. Questo l’impatto del libro della Milani: un tratto elaborato e intimo al servizio della narrazione scalda lo sguardo e avvolge il lettore, testimone da subito del quotidiano della poetessa, una vita in apparenza piccola, che ha reso la sua opera grandissima. Alice Milani, che è membro del collettivo La Trama (gruppo di fumettisti e illustratori che si autoproducono) racconta così la genesi del suo primo graphic novel, le cui tavole saranno esposte a Les Libelus Studio di Bologna, durante il festival internazionale di fumetto BilBolBul (19/11-4/12).

Un graphic novel su Wisława Szymborska. Idea tua o dell’editore?

La proposta è stata di Federico Zaghis, di Beccogiallo. Conoscevo pochissime poesie della Szymborska, ma mi sono fidata ed ho subito accettato. Man mano che leggevo le sue poesie e mi documentavo ho iniziato a riconoscermi nel senso dell’umorismo e nei modi della poetessa. Col senno di poi, credo che Federico abbia avuto l’intuizione di affidarmi un personaggio a me molto affine.

La poetessa polacca ha pubblicato 12 raccolte di poesie in 50 anni. Quali hai utilizzato direttamente e quali fonti hai consultato?

Ho letto la raccolta Tutte le Poesie edita da Adelphi. Ho visto due documentari con interviste a lei e a persone che l’hanno conosciuta. Oltre alle raccolte di poesie mi sono state utili le Letture facoltative (Adelphi, 2006) da cui ho tratto un intero spezzone che ho trasformato in una sequenza di dialogo con il gatto. È stato utile, oltre che estremamente divertente, il libro Posta letteraria ossia come diventare (o non diventare) scrittore (Scheiwiller, 2002) che raccoglie i consigli che dispensava agli aspiranti scrittori quando lavorava per Życie Literackie (Vita Letteraria). Il libro fondamentale è stato però Cianfrusaglie del passato (Adelphi, 2015) una biografia molto ricca di aneddoti e testimonianze ad opera di due giornaliste polacche, Anna Bikont e Joanna Szczęsna. Da qui ho selezionato alcuni episodi che mi avevano colpita e ho messo in piedi la struttura della sceneggiatura. Non c’è stato bisogno di inventare niente: la poetessa pronuncia parole tratte dai suoi scritti e dalle sue interviste e io ho disegnato episodi di cui esistono descrizioni minuziose nella sua biografia. La parte difficile è stata scegliere quali episodi, tra i molti letti, raccontare, poiché è attraverso la scelta fatta che si rischia di indirizzare il lettore verso un’interpretazione o un’altra.

Quale aspetto della sua poetica ti è stato più a cuore e che hai voluto trasmettere alle tue pagine?

Mi affascinano il suo senso dell’umorismo, la leggerezza con cui tocca temi anche pesanti, la sua mancanza di pretese e affettazione. Credo che sotto al suo modo di vivere apparentemente dimesso – non ha avuto una vita straordinaria, non ha compiuto viaggi o imprese eclatanti, né si è mai data agli eccessi – si nascondesse una sensibilità fuori dal comune. Lei riusciva a vedere il nocciolo delle cose, a distinguere l’essenziale dal superfluo e a indicarlo con delicatezza. Probabilmente è per questo che ha vinto il Nobel.

Graficamente il libro è un tripudio di tecnica e colori. In questa vastità visuale c’è qualche elemento cromatico ricorrente che associ a determinate situazioni o momenti?

Il colore che associo a tutta l’atmosfera del libro è un terra d’ombra naturale che ho usato in grande quantità. Spento, grigiastro, è proprio un color blocco sovietico. L’ho usato spesso come base per tavole intere. Poi alcuni gialli e beige che concorrono a creare quella tipica gamma di colori comunismo anni cinquanta. Spesso si racconta nella sua biografia che la situazione politica del paese era molto dura in quegli anni, che mancava tutto, che si dovevano fare lunghe file per comprare beni di prima necessità. Mi sono immaginata una gamma di colori adeguata alle ristrettezze economiche dell’epoca. I cieli invece, essendo gratis, potevano essere coloratissimi.

Con la stessa ironia con cui componeva limerick (brevi composizioni poetiche nonsense), la poetessa si divertiva con il collage. Tu stessa hai deciso di utilizzarlo nel libro. Mi è anche sembrato di scorgere un tuo cammeo…

La poetessa componeva cartoline a collage che spediva agli amici. Era uno dei suoi bizzarri divertimenti. I suoi collages sono molto belli, sono stati raccolti ed esposti dopo la sua morte, benché lei non avesse assolutamente la pretesa di farne delle opere d’arte. Ho pensato di inserirlo concretamente nel libro perché avevo bisogno di una soluzione visiva che facesse risaltare alcune scene sul resto della storia. Volevo dare l’idea di una visione speciale delle cose che gli altri non hanno. La scena più lunga con questa tecnica è dedicata alla poetessa stessa intenta a comporre uno dei suoi collage dopo una serata con gli amici. La vediamo ritagliare una figura e poi darle vita sul foglio. Improvvisamente anche lei diventa un personaggio del suo stesso collage, e in veste di regista dà indicazioni ai cameramen sulle scene da girare. In questo caso ho dovuto usare me stessa come controfigura, perché non avevo foto della poetessa nelle posizioni giuste, quindi sì, sono io quella di spalle con la camicia a fiori.

La storia politica polacca influisce direttamente sulla vita e sulle creazioni della poetessa. Come entra questo elemento nel tuo libro?

Wisława Szymborska iniziò a scrivere quando la guerra era appena finita. Era grata all’Armata Rossa per aver liberato la Polonia dai tedeschi, frequentava giovani impegnati nel partito, così si iscrisse anche lei. Fu Adam Polewka a coinvolgerla, il responsabile dell’Unione dei Letterati che nel mio fumetto ha il nome di Szymon Kowalski. Anni dopo il processo che la portò ad allontanarsi dall’ideologia del partito fu lento e graduale, ma ci furono due eventi particolarmente eclatanti che le fecero aprire gli occhi. Nel 1956 gli operai di alcune fabbriche a Poznàn scioperarono contro la diminuzione del loro salario: sui cartelli dei manifestanti si legge la scritta Żądamy chleba! – vogliamo il pane, ma la rivolta fu bollata come antisocialista, controrivoluzionaria, e repressa nel sangue con l’aiuto dell’esercito. Ci furono molti morti, ma i giornali archiviarono il fatto come un incidente causato da un gruppo di provocatori. Wisława e Adam Włodek, suo marito, si resero conto che il partito stava coprendo o camuffando la verità. Anche l’espulsione dal partito del filosfo Lesek Kolakowski, nel ’66, è cruciale. L’autore di saggi come Le radici marxiste dello stalinismo o Il totalitarismo e la virtù della menzogna era decisamente scomodo per la sua epoca. Wisława non lo conobbe mai personalmente, ma quando venne a sapere che era stato espulso dal partito a causa di uno dei suoi discorsi, disgustata, restituì ufficialmente la tessera.

Famosa per la sua riservatezza, la poetessa ha più volte rivendicato il “diritto a non scrivere” sulla propria poesia, ricordando come l’attività creativa fosse inversamente proporzionale alla voglia di formulare un credo poetico. Come ti senti di aver rispettato questa posizione nel tuo racconto a fumetti?

Mi sono attenuta a quello che già era stato pubblicato, cercando di non forzare i toni, di non dare ad intendere nulla di più di quello che avevo letto. Mi sono sentita come una ricercatrice che nella foresta osserva con un binocolo una strana specie di animale selvatico e ne annota minuziosamente il comportamento bizzarro.

Nel 1996 l’autrice riceve il premio Nobel per la letteratura; di fronte all’importanza del riconoscimento, Wisława, ormai celeberrima, ribadisce tutta la sua disarmante ironia. Come hai fatto a rendere la tensione tra la sua semplicità e il genio poetico?

Sappiamo che la poetessa era molto a disagio in questo genere di situazioni sociali, ma il discorso che pronunciò in occasione dell’assegnazione del Nobel fu molto bello, ispirato, toccante. Io però ho deciso di tagliarlo e nella scena di Stoccolma le ho fatto pronunciare il testo di Piccole parole (apparso nella racccolta Sale, del 1962) e ho disegnato solo la sontuosa cena di gala…non volevo dare un’immagine ufficiale della poetessa in occasione della premiazione, così ho preferito un taglio più privato, ironico, che secondo me le si addiceva di più, mettendo in scena un buffo dialogo in cui risponde laconica a un’altolocata commensale.

Credi che, come dice la poetessa, sia responsabilità anche dei poeti, e per estensione, degli artisti, salvare il mondo?

Questa è una domanda scottante. Io concordo con Wisława. Non abbiamo il potere di cambiare il corso delle cose, ma ciascuno ha la facoltà di salvare un minuscolo pezzettino di universo. Io mi occupo del pezzetto che mi compete, con molta dedizione.

Come ti sei sentita a lavorare come autrice unica rispetto alle tue frequenti incursioni nelle opere collettive o coautoriali?

Mi sono sentita padrona di tutto il progetto. Ho dovuto gestire tutto da cima a fondo. Se ci sono errori o mancanze, quindi, non posso dare la colpa a nessuno.