Le celebrazioni di anniversari legati a personaggi di rilievo storico si trasformano spesso attraverso eventi, mostre o una miriade di convegni, in agiografie. La complessità di percorsi biografici, storici, artistici, letterari non di rado è oggetto di semplificazioni che sfociano in banalizzazioni.

Da molti mesi le istituzioni culturali di mezzo mondo (dal Neues Museum di Weimar al Museum of Fine Arts di San Francisco, dalla Akademie der Künste di Vienna all’Hermitage di San Pietroburgo) sono impegnate nel ricordare a trecento anni dalla nascita la figura di Johann Joachim Winckelmann (Stendal, 9 dicembre 1717 -Trieste, 8 giugno 1768), il fondatore dell’archeologia classica e della storia dell’arte antica.

Formula questa comoda ed efficace a uso di manuali e biografie stringate da web, ma incapace di comunicarci le ragioni per cui grazie al figlio di un calzolaio tedesco sia iniziato un nuovo modo di intendere e vedere l’Antico, modo così difficilmente accettato dai contemporanei e ancora oggi non pienamente compreso. Joseph Eiselein, l’editore dell’opera completa dello studioso tedesco, non esitava a sostenere che «la gloria maggiore di Winckelmann non consiste nell’essere stato un archeologo eccellente; collocarlo qui significa scambiare la luna col sole».

È certo che Winckelmann diede senso storico all’arte antica attraverso il suo ordinamento e la sua classificazione. L’arte greca riconosciuta nelle copie romane divenne così il modello di bellezza ideale da imitare, l’espressione della libertà politica di un popolo: «Il buon gusto, che va sempre più diffondendosi nel mondo, cominciò a formarsi dapprima sotto il cielo greco».

Fare dei Monumenti antichi inediti, la penultima opera pubblicata da Winckelmann nel 1767, e l’unica in italiano, dieci anni dopo la fondamentale Geschichte der Kunst des Altertums, il centro della mostra che tra febbraio e maggio il m.a.x. museo di Chiasso e fino al 25 settembre il Museo Archeologico Nazionale di Napoli hanno dedicato, con un progetto scientifico comune, a Winckelmann appare sicuramente una scelta coraggiosa e riuscita. Coraggiosa perché nasce finalmente da un lungo progetto di ricerca e di studio di una delle opere meno note ma più influenti dello studioso tedesco; riuscita perché restituisce dignità di esposizione alle «cose difficili». Abituati spesso ad esposizioni che assecondano i nostri gusti estetici e le nostre vaghe conoscenze, la mostra allestita con discrezione nel Salone più rappresentativo del Museo Archeologico di Napoli, quello della Meridiana, si propone di presentare ai visitatori – attraverso il confronto tra tavole illustrate, rami, manoscritti, dipinti e documenti archeologici – il ruolo svolto dalle antichità campane nella stesura dei Monumenti: opera divisa in due volumi, il primo composto da 208 tavole, il secondo da testi descrittivi divisi in 4 parti dedicate alla «Mitologia sacra», alla «Mitologia storica», alla «Storia greca e romana» e a «Riti, costumi ed arti».

Le due edizioni della mostra nascono da un lungo e meditato studio dei curatori che ha permesso di raggiungere obiettivi differenti, come si intuisce dai titoli: in Svizzera, J. J. Winckelmann (1717-1768). I Monumenti antichi inediti. Storia di un’opera, a cura di Stefano Ferrari di Nicoletta Ossanna Cavadini, direttrice del m.a.x.; in Italia, Winckelmann e le raccolte del MANN. Monumenti antichi inediti, 1767, voluta dal direttore Paolo Giulierini, a cura di Maria Rosaria Esposito e Paola Rubino. La versione napoletana della mostra tiene quindi conto della specificità della sede espositiva e per questo motivo ha scelto di non presentare al pubblico tutte le 208 tavole che componevano l’opera e raffiguravano sculture, bassorilievi, gemme, candelabri, scarabei, busti, vasi, mosaici, suppellettili ed edifici che Winckelmann ebbe modo di osservare a Roma, principalmente nella collezione del Cardinale Alessandro Albani a cui dedica i Monumenti, e inoltre a Firenze, Napoli, Portici, Pompei, Ercolano, Paestum e Caserta. Si è preferito, piuttosto, optare per una selezione di tavole dalle quali emergono gli stretti legami dei Monumenti con il ricco patrimonio di reperti archeologici portati alla luce in Campania. Anche a Napoli possono essere ammirati i due esemplari dell’opera, l’editio princeps del 1767 e quella successiva del 1820, i manoscritti preparatori, le 16 preziose matrici in rame appena restaurate dall’Accademia delle Belle arti di Napoli, le 14 prove di stampa, 5 ritratti incisi e 2 ritratti a olio, tra cui una copia di Otto Gerike databile al 1956 del celebre dipinto di Anton von Maron del 1768 raffigurante Winckelmann in vestaglia con collo di pelliccia e turbante.

Le teche in cui sono custoditi le tavole e i documenti, simili a tavoli da studio, sembrano avvertirci della necessità di assumere un paziente atteggiamento da studioso per poter pienamente cogliere il senso della mostra, a Napoli arricchita da un cospicuo numero di preziosi reperti archeologici provenienti dall’area vesuviana e solitamente non esposti. Ci accoglie, infatti, il Cavallo Mazzocchi, così chiamato perché fu il canonico Alessio Simmaco Mazzocchi l’autore dell’iscrizione presente sulla faccia anteriore della base in cui si ricorda il rinvenimento nel teatro di Ercolano dei frammenti della quadriga bronzea con i quali fu realizzato il pastiche così apprezzato dai visitatori moderni, ma che in realtà fu tanto criticato da Winckelmann.

Sculture in bronzo di piccolo formato, gemme e statue in marmo completano quella che è una mostra non solo su un’impresa editoriale realizzata interamanete a spese di Winckelmann, che ne fu anche il rivenditore, in cui per la prima volta ai testi descrittivi delle opere furono associate riproduzioni grafiche delle stesse, ma soprattutto sull’applicazione di un metodo di indagine. L’individuazione del «bello» nasceva infatti per Winckelmann dal riconoscimento, attraverso l’osservazione diretta, delle caratteristiche stilistiche che permettono di collocare l’opera nel percorso evolutivo dell’arte antica dettato dalla storia e fatto di fasi di crescita, fioritura e poi decadenza.

Il contributo del MANN non si è limitato però al recupero delle testimonianze archeologiche citate nei Monumenti, ma ha riguardato la ricostruzione della storia editoriale, non ancora nota, dei Monumenti nell’ambito napoletano a partire dalla ristampa del 1820. La fortuna dell’opera è stata ricostruita dalla Esposito attraverso lo studio delle serie complete dei rami conservati presso l’Istituto Nazionale della Grafica di Roma e attraverso le matrici conservate nella collezione calcografica del Museo di Napoli. Di tutto questo, e non solo, è dato conto nel corposo catalogo bilingue J.J.

Winckelmann (1717-1768). Monumenti antichi inediti. Storia di un’opera illustrata (Skira, pp. 336, 35,00). Questo si presenta come uno strumento indispensabile per comprendere a pieno le ragioni scientifiche e la portata della mostra. Peccato che non ne sia stata realizzata una versione aggiornata per la sede napoletana con la schedatura dei reperti archeologici esposti, ma soltanto un utile dépliant che consente di percorrere l’intero museo sotto il segno di Winckelmann.