Hanno risposto a tutte le domande del Gip di Velletri, i quattro giovani in carcere a Rebibbia con l’accusa di omicidio preterintenzionale di Willy Monteiro Duarte, il cuoco 21enne pestato fino alla morte nei pressi della caserma dei Carabinieri di Colleferro, cittadina a sud di Roma, nella notte tra sabato e domenica scorsi. Hanno risposto, ma hanno negato qualunque addebito: non sono stati loro, dicono, a uccidere, e neppure a picchiare perché – giurano adesso dichiarandosi «distrutti» dal dolore per la morte del povero ragazzino – avrebbero solo assistito al pestaggio. Peccato che non sappiano neppure riferire chi avrebbe preso parte al linciaggio che ha ucciso il giovane di Paliano «perché – ha riferito l’avvocato Massimiliano Pica che difende i due fratelli Bianchi e Mario Pincarelli – si era formato un semicerchio di persone che impediva loro di vedere cosa stesse accadendo». Secondo il legale ci sarebbe un testimone in loro favore.

Il Gip Giuseppe Boccarato ha convalidato l’arresto mentre il pm Luigi Paoletti, responsabile del fascicolo, ha ordinato ulteriori indagini sui cellulari e sui vestiti di tutti i presenti e avrebbe previsto anche indagini patrimoniali per verificare se lo stile di vita di Marco e Gabriele Bianchi – che hanno precedenti per spaccio e lesioni – fosse congruente con la loro occupazione dichiarata. Escluso però qualunque movente razziale per il brutale omicidio.

E INVECE IERI CERTE TESTATE locali e nazionali hanno diffuso notizie in parte smentite, come quella che il pestaggio sarebbe durato venti minuti e non pochi secondi come avrebbero invece riferito alcuni amici della vittima, testimoni del delitto. Altra notizia shock ma non confermata è la frase attribuita ad un parente di uno degli indagati, che ridurrebbe a «nulla di grave» l’omicidio «di un extracomunitario». Al contrario, secondo alcune fonti locali, la famiglia Bianchi si direbbe «distrutta» da quanto avvenuto, soprattutto particolarmente preoccupata delle sorti del locale gestito dal fratello maggiore, Alessandro. Il quale racconta: «Marco per un periodo ha anche lavorato nel locale, era bravissimo. Quando avevo la frutteria mi davano una mano entrambi. Poi gli atteggiamenti da bulli… Ma no, mai e poi mai avrebbero picchiato un ragazzo a terra. Mai e poi mai ucciderebbero un bambino come Willy». Piuttosto la linea difensiva scelta dai tre bulli sembrerebbe privilegiare lo scaricabarile nei confronti del quarto arrestato, Francesco Belleggia.

«QUANTO SUCCESSO non può non far riflettere su un processo di degrado culturale e civile che da tempo prende piede nei nostri territori e nelle nostre comunità», è il commento della Cgil Lazio. Comunità che si stringe attorno alla famiglia Monteiro Duarte con una fiaccolata organizzata per questa sera a Paliano, mentre alcuni comuni della zona aderiscono all’iniziativa lanciata da Anci Lazio di innalzare la bandiera municipale a mezz’asta nel giorno del funerale di Willy (ancora non fissato).

EPPURE, NON SFUGGE all’osservatore attento come questo terribile fatto di cronaca racconti anche del ruolo sempre più predominante delle piazze virtuali. Alcuni particolari: la rissa sarebbe cominciata per un like “sbagliato”; gli energumeni indagati si possono sicuramente definire dei piccoli influencer locali, capaci di sfruttare i social per aumentare il proprio potere sul territorio; dopo l’omicidio, l’atmosfera di odio si è perfino ingigantita sulle timeline di Facebook e Twitter, sia con minacce e insulti nei confronti degli arrestati che con esultazioni per il delitto commesso. Tanto che il vice presidente della Regione Lazio Daniele Leodori ha esortato ieri Facebook e Twitter ad «intervenire subito per fermare post e profili che speculano in modo vergognoso su Willy e la sua morte. Va ringraziata – ha aggiunto – la Polizia postale per il lavoro che sta portando avanti nel contrastare forme di reato che si stanno diffondendo sui social su una tragedia immane».

A DIRE IL VERO anche la destra partitica inzuppa il pane nella vicenda, mentre il presidente del consiglio Conte ha rilasciato un commento ieri, solo dopo aver telefonato alla famiglia del ragazzo ucciso, con parole misurate: «Se ci sarà o meno l’aggravante razziale lo scopriranno i magistrati – ha detto -. Io non mi sento neanche di chiedere una punizione esemplare, affido all’autorità giudiziaria il compito di individuare, perseguire e accertare con precisione le responsabilità e stabilire le giuste condanne». Piuttosto, ha sottolineato il premier, il problema è culturale: «Fermiamoci a riflettere. Cosa diremo ai nostri figli? Io ho un ragazzo di 13 anni, cosa gli dirò? Di non intervenire per sedare una lite? Dagli accertamenti Willy si è permesso di intervenire per sedare un diverbio. E – ha concluso – si è scatenata una cieca violenza».