Né cantautore né rapper. Nemmeno una via di mezzo ma qualcosa di diverso. Willie Peyote viene dal rap ma ne ha superato i canoni raggiungendo con testi, voce e strumenti, un habitat irregolare confermato con il nuovo concept album Sindrome di Tôret (etichetta 451/distr. Artist First). Torinese classe 1985, qui mescola jazz, pop, punk-rock, funk e hip hop con scanzonata disinvoltura. Ad aprile nel salotto di Che tempo che fa aveva cantato il suo singolo Non sono razzista ma… scatenando le proteste di chi (forse con la coda di paglia), ha argomentato che non si possono attaccare gli italiani in prima serata. Difficile immaginare cosa penseranno di Vilipendio o Avanvera, canzoni cattivissime quanto efficaci nel descrivere cosa sia la libertà nell’epoca dei social. Nel disco ci sono i contributi di Roy Paci, dell rapper-cantautore Dutch Nazari, l’elettronica di Jolly Mare e le stand-up comedy di Giorgio Montanini. Il suo è un fare musica libero, fresco e condivisibile.