«È il primo anno in cui partecipo a Sanremo e sarà l’unica volta. Ho accettato proprio per la situazione irripetibile che stiamo vivendo. Sanremo è l’unico palco in cui si può suonare in Italia oggi. Non posso non ricordare la mia band, i miei collaboratori più stretti che da un anno non lavorano. Conosco professionisti che si sono dovuti cercare un altro impiego per mantenere le proprie famiglie. Questo Festival può essere un buon segnale se lo utilizziamo anche per chiarire che non ci si deve perdere in beghe da cortile quando si tratta di ricominciare a suonare». Willie Peyote sbarca a Sanremo con la sua canzone Mai dire mai che parla di come, ormai, ci siamo abituati al mero intrattenimento mettendolo al primo posto in tutti i campi, dall’arte allo sport alla politica. «Siamo giovani affamati, siamo schiavi dell’hype. Non si vendono più i dischi tanto c’è Spotify. Riapriamo gli stadi ma non teatri né live» canta il ritornello. In questo testo, Willie mette insieme protesta e leggerezza denunciando che: «Questa è l’Italia del futuro: Un paese di musichette mentre fuori c’è la morte».

Come arriva a Sanremo?

«Ho cercato di costruirmi una situazione scherzosa, per non prendermi troppo sul serio. Che è anche il senso della canzone».

È una denuncia?

«Mi piace rompere le scatole a tutto, la mia forma è la standup comedy. Io non ho risposte, se le avessi farei il politico. Vorrei far sorgere le domande dentro le persone, confrontarmi. E anche capire dove ho sbagliato. Vivo la musica come una motivazione per discutere di ciò he accade ma non in forma negativa».

Mai dire mai?

«Il senso del pezzo è proprio quello del “Non prendiamoci troppo sul serio perché non si sa mai cosa faremo domani”. È un prendere in giro me stesso, dovremmo tutti guardarci nello specchio più serenamente».

Anche per Sanremo fa questa riflessione?

«In realtà io non ho nulla contro Sanremo. La prima volta che lo vidi avevo 7 anni e sul palco c’era il testimone di nozze di mio padre che era il bassista degli Statuto. Per fare una citazione: “Non ho paura di Sanremo in sé, ho paura di Sanremo in me”. Capisco che la gente si aspetti magari qualcosa di diverso da me. Non sono tra quelli che ha mai pensato cosa vado a farci io. Il mio non è un pezzo intellettualoide, il testo non è una sfilza di insulti ma un gioco di battute per cercare di capire come recepiamo la musica, la cultura, lo sport. Che senso hanno i teatri chiusi e i programmi tv che vanno avanti, gli stadi vuoti con il gioco in campo».

Lei canta: «Non ho capito in che modo twerkare vuol dire lottare contro il patriarcato». Cosa intende?

«Il tema è come mettere in relazione sul palco di Sanremo il contributo di donne illustri che parlano di parità di genere e il twerk. In che modo diventa simbolo, al di là della retorica sanremese, di una lotta militante. Non è in alcun modo per dire alle donne come si lotta contro il patriarcato. Abbiamo un grosso problema in questo paese su questi temi. Non punto il dito su Elettra Lamborghini, lei fa quello che vuole e spero lo faccia sempre, viva dio. Il punto è riflettere come noi percepiamo le cose».