Tra il 1896 e l’anno seguente, William Butler Yeats pubblicò due racconti non soltanto emblematici di quello stile cristallino che sarebbe divenuto tipico della sua produzione più matura, ma significativi perché destinati a comporre le basi teoriche del suo pensiero occulto. «Le tavole della legge» uscì sulla rivista «The Savoy», pubblicata a Londra in otto numeri nell’arco di quello stesso anno, e «L’adorazione dei magi» in un volume stampato privatamente.

Nel 1897 Yeats li avrebbe ripresi e ripubblicati in The Secret Rose, dove compaiono quale ideale continuazione del famosissimo Rosa alchemica, che il poeta considerava il più simbolicamente significativo dei suoi libri. James Joyce, che conosceva a memoria i due racconti, pare che nell’ottobre del 1902, imbattendosi per le strade di Dublino in Yeats, ne abbia discusso con lui. In quel periodo, infatti, contrariamente a quanto sarebbe legittimo supporre, il giovane Joyce era immerso nella Occulta philosophia. E Yeats, che con George Russell aveva fondato, una ventina di anni prima, la Dublin Hermetic Society – proprio il 16 giugno, giorno che sarebbe stato celebrato come Bloomsday – era per lui un interlocutore perfetto.

I suggerimenti di Joyce
Dell’incontro si sa poco, ma stando a scarsamente credibili aneddoti, il giovane scrittore avrebbe rinfacciato al poeta maturo di essere troppo anziano per imparare qualcosa da lui. Deve avere tuttavia anche elogiato i suoi racconti, perché convinse indirettamente l’autore a ristamparli separatamente, cosa che Yeats fece nel 1904: scanditi da quelle evocative sonorità che a tratti li fanno somigliare a poemi in prosa, i racconti sarebbe usciti appaiati in una edizione rarissima, nella cui prefazione Yeats scrisse: «Non credevo meritassero d’esser ripubblicati, se non fosse che l’altro giorno ho incontrato un giovane, in Irlanda, a cui piacevano molto, al contrario di tutte le altre mie opere». Li traduce ora elegantemente Ottavio Fatica per Adelphi, in un volume Magia (pp. 430, e 26,00) che raccoglie anche gran parte di altri scritti esoterici di Yeats: da Anima mundi a Per Amica Silentia Lunae, fino a includere la riflessione che dà il titolo al libro, e l’importante saggio su Blake e l’immaginazione.

Il traduttore dà prova di essere in piena sintonia con lo stile della prosa raffinata di Yeats, ritmata dalla musicalità che è tipica della sua poesia: sorprendentemente, però, mentre i versi di quegli anni erano ancora profondamente legati agli strascichi favolistici del folklore irlandese, le prose sono intonate alle poesie degli anni più maturi, quelle di Byzantium e Lapis Lazuli, dove Yeats insegue una rarefazione contemplativa che rasenta il silenzio e rimanda esplicitamente ai versi visionari di Blake: «ci sono stati uomini che amavano il futuro come un’amante e il futuro mescolava il suo respiro con il loro e scuoteva i capelli intorno ad essi e li celava alla comprensione della loro epoca. Uno di questi uomini era William Blake e, se si espresse in modo confuso e oscuro, fu perché parlava di cose per le quali nel mondo a lui noto non trovava modelli atti a esprimerle».

Se dal punto di vista stilistico gli scritti che compongono il volume tracciano l’evoluzione di una prosa indirizzata a farsi più eterea, dal lato dell’immaginario ermetico la raccolta appare eterodossa e al tempo stesso onnicomprensiva, consentendo di visualizzare l’intera architettura mistico-magica di un scrittore che non si limitava alla teoria ma la traduceva in prassi. Eppure, nella seconda edizione di Una visione aveva dichiarato di non credere troppo alle sue elucubrazioni occulte, considerandole piuttosto complesse macchine per pensare: «e ora che il sistema occupa un posto chiaro nella mia immaginazione, considero (i miei circuiti solari e lunari) quali configurazioni stilistiche dell’esperienza, paragonabili ai cubi nella pittura di Wyndham Lewis o agli ovoidi nella scultura di Brancusi».
Eletto Imperator del tempio di Isis Urania all’interno della famigerata Golden Dawn del satanista Alistair Crowley, Yeats aveva preso parte a sedute spiritiche e evocato medianicamente presenze intangibili, arrivando a credere come la sua stessa consorte venisse attraversata da voci dall’oltretomba che le dettavano in scrittura automatica contenuti segreti.

Con Russell
Nella remota biblioteca di una università americana esistono taccuini in cui Yeats, assieme a Russell, disegnò le apparizioni ectoplasmatiche che di volta in volta sembrava avere di fronte agli occhi durante le séances. L’ambivalente frequentazione delle periferie dello spiritualismo è una costante in Yeats, che alterna sé e maschere, self e antiself, poli di quel sapere ermetico radicato nella teoria della coincidentia oppositorum che animerebbe il mondo. Proprio in Anima mundi, il poeta irlandese elabora, a partire dalle credenze teosofiche sugli archivi akasici – depositi e ricettacoli della memoria del mondo – una visione parallela a quella razionalistica, un modo di avvicinarsi ai fenomeni, che sfida la tangibilità materiale per rincorrere l’impalpabilità dell’invisibile: «Davanti all’occhio della mente, nel sonno o nella veglia, affioravano immagini che di lì a poco avremmo scoperto in libri mai letti prima e, dopo aver cercato invano una spiegazione nella teoria invalsa di una memoria personale dimenticata, giunsi a credere in una Grande Memoria trasmessa da una generazione all’altra».

Sebbene queste parole facciano pensare a una variante dell’inconscio collettivo junghiano, la riflessione di Yeats proviene dalla ricerca di un contatto con mondi consegnati alla non apparenza, eppure riaffioranti tramite la magia della mente: «E chi può aver assemblato così ingegnosamente, usando leggi associative, però con chiaro intento e personale impegno, certe immagini mitologiche? Si erano mostrate a menti diverse, un frammento alla volta, rivelando il loro significato solo dopo aver ricomposto l’enigmatico mosaico. Mi si ripresentava spesso l’idea che la ricerca avesse stabilito un contatto o una commistione con menti che avevano perseguito una ricerca simile in altra epoca e che quelle menti ancora vedessero, pensassero e scegliessero».
Per Yeats, che non soltanto fu curatore dell’opera visionaria di Blake, ma con lui condivideva quel mentore fondamentale che fu il mistico-scienziato svedese Emanuel Swedenborg, la facoltà immaginativa è tutto. Blake amava dire che nulla esiste se non è stato prima sognato, e Swedenborg vedeva, a suo dire, tra le schiere degli umani, le presenze spettrali dei defunti che permangono in stadi mediani tra la terra e il cielo.
Spiegazione di coincidenze segrete

Meno fideistico, ma ugualmente attratto dalla possibilità di trovare chiavi di lettura del reale nelle regioni brumose dell’immateriale, Yeats scriveva: «A dar retta allo spiritismo, sia quello del folklore sia quello delle sedute spiritiche, alle visioni di Swedenborg, alle speculazioni dei platonici e ai drammi giapponesi, in certe strade e in certe case è dato veder commettere di nuovo antichi delitti, e in certi campi cacciatori defunti aggirarsi con cavalli e cani, o antichi eserciti combattere sopra ossa e ceneri».
L’Anima Mundi sarebbe, per Yeats, anche la spiegazione segreta delle coincidenze non casuali, quelle che Jung chiamerà «sincronicità»: occorrenze simultanee la cui causa oscura può esistere, ma che restano comunque intangibili, in un alone di imponderabilità. Proprio in virtù del suo sapere esoterico, che lo induce a cercare nell’ombra la spiegazione delle simultaneità, Yeats resta per molti uno scrittore oscuro; non come lo era Dante per Manganelli, bensì nella accezione degli studi cosmologici: trasparente, invisibile ma capace di influenzare.
Gli aspetti profetici della scrittura di Yeats sono probabilmente la chiave del loro significato recondito: sull’onda del profetismo, questo gigante della letteratura ha influenzato anche scritturi considerati, a torto o a ragione, assai più intellettualistici.
Fu probabilmente nel corso dell’incontro dublinese con Joyce, che Yeats gli consigliò di andare in un’antica biblioteca dublinese, la Marsh, per compulsare le profezie attribuite a Gioacchino da Fiore, i cui scritti sarebbero confluiti, qualche anno dopo, nel più oscuro degli episodi di Ulisse, il terzo. Ancora una volta, gli aspetti più umbratili della mente andavano a bilanciare quelli in apparenza più luminosi, come a dimostrare che c’è rivelazione là dove la letteratura si mostra efficace nel ri-velare, dunque, nel velare di nuovo.