Centodieci anni fa, per la prima volta un musical scritto e interpretato interamente da neri, In Dahomey, espugna un importante teatro di Broadway. Oggi considerato una pietra miliare nella storia della commedia musicale americana, In Dahomey debutta nel 1902 in Connecticut, approda poi in un teatro off-Broadway, il Grand Opera House, prosegue in una dozzina di città, fra cui Chicago, St. Louis e Kansas City, e nel febbraio del 1903 torna a Manhattan, ma questa volta al New York Theater, in Times Square. Non solo: il successo di In Dahomey è tale che nello stesso 1903 l’intera produzione parte per un tour in Gran Bretagna, dove il lavoro viene rappresentato anche a Buckingham Palace per il compleanno del principe di Galles. E una delle canzoni nel musical, Swing Along, con un forte contenuto di orgoglio razziale, fa veramente epoca, adorata dal pubblico negli Stati Uniti quanto in Inghilterra.
Con la troupe di In Dahomey arriva in Inghilterra anche l’autore trentaquattrenne delle musiche, Will Marion Cook che con l’Europa ha già una notevole confidenza, decisamente non comune per un afroamericano dell’epoca. Non comune è anche la sua famiglia di provenienza. Ex schiavo, il nonno materno è riuscito a comprare la libertà della sua famiglia, e a far studiare al Nord alcuni dei figli, fra cui la madre di Will. Il nonno paterno a Detroit ha occasione di dirigere un’orchestra, tutta formata da bianchi tranne lui. Entrambi i genitori frequentano l’Oberlin College, caso più unico che raro di istituzione scolastica che non fa distinzione fra bianchi e neri. Il padre prosegue poi studiando legge alla Howard University, che, fondata nel 1867, promuove l’accessso dei neri all’istruzione superiore: della Howard diventa poi docente.
Will nasce nel 1869, e cresce a Washington in una condizione assai confortevole. Ma il padre muore quando Will ha appena compiuto dieci anni. Il bambino è inquieto, viene ripetutamente espulso dalle scuole perchè rifiuta qualsiasi punizione corporale. Ritenendo gli manchi una figura maschile di riferimento, la madre lo manda dal nonno materno, nel Tennessee. Will arriva nel Sud con la mentalità di un ragazzo abituato alle grandi città del Nord e ad un ambiente nero colto e privilegiato, e si scontra con l’asprezza della dialettica razziale nel Sud. Rischia grosso battendosi ripetutamente con i coetanei bianchi che lo chiamano «nigger». Il nonno, preoccupato che la sua personalità orgogliosa possa esporlo a guai peggiori, lo rispedisce alla madre. Ma oltre che dalle ragazzine dei suoi primi turbamenti, Will nel mondo nero del Sud è rimasto sedotto dalle melodie e dalle canzoni, tanto da maturare la decisione di studiare musica, accompagnata dalla precocissima idea che la musica nera possa essere un decisivo strumento di elevazione dello status della sua gente.
Anch’egli all’Oberlin, Cook studia musica classica: riconoscendo il suo talento il professore di violino suggerisce che debba perfezionarsi all’estero, a Berlino. Per raccogliere il denaro necessario Frederick Douglass, l’ex schiavo diventato un eminente leader e intellettuale abolizionista, gli organizza un recital. A Berlino Cook frequenta per un anno la Hochschule für Musik, allora diretta dall’ungherese Joseph Joachim, uno dei più grandi violinisti dell’ottocento, impara il tedesco e nutre degli ideali della rivoluzione francese, che avevano largo corso negli ambienti artistici della capitale, le sue convinzioni sul posto degli afroamericani negli Stati Uniti. Nel 1893 alla Fiera Mondiale di Chicago vengono presentati scampoli di un’opera di Cook da Uncle Tom’s Cabin, La capanna dello zio Tom, ispirata al libro abolizionista di Harriet Beecher Stowe. É in occasione della Fiera che l’amico Harry T. Burleigh, allora assistente di Antonin Dvorák, all’epoca chiamato a dirigere il National Conservatory of Music creato nel 1885 a New York, lo raccomanda al compositore ceco (sensibile al folclore afroamericano, di cui, nel periodo in cui scrive la Sinfonia dal Nuovo Mondo, per ore si fa cantare da Burleigh degli esempi). Cook studia composizione con Dvorák, e suona sotto la sua direzione nell’orchestra del conservatorio. Poi ha un’occasione di lavoro a Broadway, con la sua competenza in materia di Beethoven e Wagner si sente inizialmente un pesce fuor d’acqua ad orchestrare per un piccolo complesso che fa musica sincopata. Alla fine dell’800 a New York nel settore del teatro, della rivista, dello spettacolo di varietà si registra una importante evoluzione: dall’attività di marca popolare delle compagnie nere, con i loro show in cui ballad, spiritual, danze, numeri, attrazioni, sketch comici sono cuciti insieme alla buona da qualche canovaccio narrativo, si arriva all’allestimento di opere ambiziose e sofisticate, frutto di un livello di elaborazione artistica e di un grado di professionalità altissimi. Frederick Douglass fa conoscere Cook a Paul Laurence Dunbar, pioniere della poesia e narrativa afroamericana: con musica di Cook e testi delle canzoni e libretto di Dunbar, il primo risultato della loro collaborazione è alla metà degli anni novanta Clorindy. The Origin of The Cakewalk, che fa subito sensazione, seguito poi da In Dahomey. Cook diventa così un protagonista decisivo della prima fase di grande fortuna a New York dello spettacolo nero, che conquista Broadway con produzioni gestite da bianchi, ma in cui compositori, parolieri, musicisti, attori, cantanti e musicisti sono neri. Fino al primo decennio del novecento in pratica c’è addirittura una egemonia nera su Broadway, all’insegna di nuovi ritmi come cakewalk e ragtime, di nuovi modi di ballare, di uno humour afroamericano. La vicenda di Cook (morto nel 1944) si incrocerà poi con quella di James Reese Europe, altro straordinario personaggio, nell’esperienza del Clef Club, una specie di via di mezzo fra un’associazione e un’agenzia di impresariato, destinata a promuovere la presenza degli afroamericani nel business della musica, e a sottrarli a condizioni di discriminazione e sfruttamento. Nel 1912 il Clef Club è già in grado di organizzare nella prestigiosa cornice della Carnegie Hall, tempio newyorkese della musica classica, un concerto della Clef Club Orchestra.
Nel ’19 poi, mentre Reese, che in Francia si è fatto onore nelle trincee e con la sua banda musicale, torna a New York, Cook attraversa di nuovo l’Atlantico in senso contrario, con la sua Southern Syncopated Orchestra, per illustrare in Europa la grandezza e la specificità della musica afroamericana. Siamo all’alba della Harlem Renaissance, di cui Cook è un battistrada. Siamo anche all’alba dell’«età del jazz». E Cook percepisce subito l’arrivo della nuova era. Con la Southern Syncopated porta in Gran Bretagna un giovanissimo talento che in Europa farà colpo: Sidney Bechet. E con la sua missione all’estero Cook avvia la carriera di uno dei più grandi ambasciatori della musica nera.