A cinque anni esatti dall’inizio della rivolta anti-Gheddafi, il 17 febbraio, precursore dell’intervento della Nato contro Tripoli e del disfacimento del sistema statale libico, Wikileaks ha reso pubblico il documento che aprirebbe ad una nuova operazione occidentale. Datato 29 gennaio e redatto dall’ammiraglio Enrico Credendino della Marina Italiana, il rapporto tratta dell’invio di truppe in Libia all’interno dell’Operazione Sophia, operazione dell’Unione Europea contro i trafficanti di rifugiati a cui prendono parte 22 membri Ue e 1.300 uomini.

Dopo un lungo elenco di statistiche sugli arrivi di migranti, le rotte seguite e gli arresti di trafficanti compiuti, il rapporto presenta le fasi che Sophia dovrebbe perseguire e che si intrecciano agli sviluppi politici in Libia. Ovvero alla realizzazione dell’accordo siglato a dicembre in Marocco tra i due parlamenti rivali di Tripoli e Tobruk. Obiettivo europeo diventa quindi l’implementazione dell’accordo, «la creazione di un governo [di unità nazionale] su cui fare affidamento, che in cambio ‘inviti’ le forze europee a operare all’interno delle acque territoriali (Fase 2B) e dopo dia il permesso ad estendere le operazioni militari europee lungo la costa (Fase 3)».

Nel rapporto l’ammiraglio Credendino spiega con dovizia di particolari i successi riscontrati: dall’inizio dell’operazione, sei mesi fa, le rotte seguite dai trafficanti sono cambiate a causa dei maggiori controlli sul Mediterraneo. Si parte molto meno dalla Libia (dove annualmente il traffico di rifugiati garantisce guadagni tra i 250 e i 300 milioni di euro) e si preferisce la Grecia: «Prima la distribuzione tra chi usava la rotta centrale e quella orientale era omogenea, mentre ora il 16% dei migranti usa quella centrale e quasi l’83% quella ortientale. Inoltre da settembre, per la prima volta in tre anni, abbiamo assistito ad una riduzione del 9% del numero di migranti sulla rotta centrale».

Implementata la prima fase, scrive l’ammiraglio, è tempo di passare alla seconda: giungere a poca distanza dalle coste libiche, uscendo dalle acque internazionali, per prendere di mira i trafficanti nei porti di partenza. Un obiettivo da realizzare con la diretta cooperazione della guardia costiera libica, chiamata ad «impedire l’immigrazione illegale», e con le future autorità libiche perché «garantiscano l’invito ad operare dentro il territorio libico».

A rendere noto il documento è stata una fonte interna alla Ue, protetta da anonimato, e che conferma quanto prospettato in questi mesi da vari osservatori: Bruxelles punta ad un esecutivo di unità che autorizzi operazioni militari, ufficialmente volte a frenare il flusso di rifugiati dal Nord Africa.

Ufficiosamente potrebbe aprire – ed è questo il timore viste le ambizioni belliche di molti attori occidentali – ad un intervento armato dentro il territorio libico. Le truppe straniere sarebbero chiamate a bloccare l’avanzata dello Stato Islamico e, soprattutto, a mettere in sicurezza quelli che sono considerati i principali target islamisti, i giacimenti petroliferi. Target anche occidentali, a partire da paesi come la Francia che dall’avventura Nato del 2011 non hanno ottenuto quanto speravano, ovvero l’ingresso in pompa magna nel ricco mercato energetico libico.

Non è un caso che nel rapporto si indichi espressamente l’eventualità di una sovrapposizione di attività militari: «Dobbiamo cooperare ed evitare che le nostre attività entrino in conflitto con quelle di altre missioni internazionali che potrebbero operare in Libia una volta che il governo di unità nazionale sarà creato».