«Aveva uno sguardo demoniaco»: sono queste le parole con cui Darren Wilson poliziotto di Ferguson (Missouri) «spiega» in un’intervista televisiva i dodici spari con cui nell’agosto 2014 ha ucciso Michael Brown, diciottenne nero e disarmato. È il 26 novembre 2014: esattamente il giorno dopo la decisione del grand jury di non rinviarlo a giudizio per l’omicidio.

Dalla morte di Michael Brown, Ferguson è stata scossa dai riots della popolazione african american, in rivolta contro la violenza razzista della polizia: una protesta che dopo la spontaneità iniziale è andata organizzandosi nel corso dei mesi ed è diventata una delle tappe fondamentali per la nascita e lo sviluppo di Black Lives Matter.

Quei giorni di rivolta e riflessione, frustrazioni e speranze sono raccontati da Whose Streets di Sabaah Folayan – che arriva a Ferguson da New York – e Damon Davis – artista nato e cresciuto nel sobborgo di Saint Louis – in programma in questi giorni al Festival dei Diritti Umani di Lugano. Insieme, Davis e Folayan realizzano un «controcampo» delle immagini che in quei mesi circolavano sui media, che mettevano in evidenza solo i saccheggi e la violenza, obliterando quasi del tutto la vera natura di ciò che stava succedendo a Ferguson.

Come è nata la decisione di testimoniare questa protesta?

Damon Davis: Io stesso ero coinvolto in prima persona, cercavo di dare il mio contributo organizzando eventi, realizzando poster, volantini… Quando ho deciso di girare un film volevo occuparmene da solo: non mi fidavo di chi veniva da fuori a causa del modo in cui Ferguson e St. Louis stavano venendo dipinte. Ma quando ho incontrato Sabaah, e ho parlato con lei, ho capito che la nostra analisi della situazione era la stessa, così abbiamo deciso di lavorare insieme.

La copertura dell’evento da parte dei media si soffermava solo sugli aspetti violenti della protesta, contemporaneamente le istituzioni locali cercavano di danneggiare la reputazione di Michael Brown.

Il tentativo di demonizzare i neri – o qualunque altra persona in posizione marginale – è tipicamente americano. La struttura dominante viene mostrata come la vittima, in modo da avallare il potere su cui si regge il sistema. E il governo e i media sono in gran parte organici a questo sistema. Ma la cosa più pericolosa è che la storia sopravvive all’atto, quindi i media hanno un potere ancora maggiore sulla mente delle persone.

Il film ci «immerge» nelle manifestazioni, ci mostra dall’interno il movimento in formazione.

È il risultato di un lavoro di gruppo, ma è stato fondamentale il ruolo del direttore della fotografia Lucas Farrar e del montatore Chris McNabb. Lucas ha ripreso dall’interno del «caos», mentre Chris ha esaminato ore di riprese fatte da noi e di materiale girato da altri, e grazie a loro abbiamo ottenuto la prospettiva «personale» e ravvicinata che io e Sabaah desideravamo.

A tre anni dalla morte di Michael Brown quanto pensa che le proteste di Ferguson abbiano influenzato Black Lives Matter e l’immaginario collettivo sulla questione della razza negli Stati uniti?

Penso che quei fatti siano stati determinanti nel rendere BLM ciò che è oggi. Le proteste a livello nazionale, la repressione sistematica di quelle proteste e il risveglio della coscienza della nazione sulla piaga dei neri in America sono dovuti in gran parte alla resistenza prolungata che c’è stata a Ferguson.

Quest’estate abbiamo assistito a ulteriori riots a Charlottesville, dopo la rimozione dei monumenti dei confederati e le manifestazioni dei suprematisti bianchi, che non sono stati condannati da Donald Trump. Un altro passo indietro?

Credo piuttosto che siamo sempre allo stesso punto. I bianchi che si trovano in una situazione confortevole possono anche essere scandalizzati da quanto in basso si siano spinti i loro parenti e amici, ma io personalmente non lo sono. È dagli anni Settanta che Trump si mostra per quello che è, e l’America è se stessa da circa trecento anni. Alcune persone possono permettersi il lusso di comportarsi come se la situazione fosse diversa da un secolo fa, chi invece non può sarà deluso, inorridito, arrabbiato – ma non stupito.