Il dibattito italiano su whistleblowers e trasparenza ha avuto tutta una serie di problemi, legati anche alla ricerca costante del sensazionalismo e della verosimiglianza, ma ha finito per depositare i propri rivoli in una opinione pubblica sempre più vicina ai temi sollevati: sia le guerre e le sue atrocità rivelate da WikiLeaks grazie a Chelsea Manning, sia tutti gli interrogativi e i dilemmi di una società sempre più controllata – i casi Nsa e Cambridge Analytica – ci riguardano, trattandosi di temi, specie i secondi, quotidiani, alla portata di tutti, quanto meno nei loro effetti.

Il tema è ampio, complicato e in «Leaks, Whistleblowing e hacking nell’età senza segreti» (Luiss, pp. 151, 13 euro) Philip di Salvo prova a mettere ordine, introducendo la discussione e portandola poi avanti attraverso un esame minuzioso dei protagonisti assoluti di queste vicende: WikiLeaks, Chelsea Manning, Edward Snowden e infine il caso Cambridge Analytica.

Nella sua introduzione l’autore riscontra un cambiamento per quanto riguarda la discussione sulla rete: da una visione ottimista (eccessivamente tale) si è ormai passati a una narrazione di tutto quanto è la rete più equilibrata: i casi di cui si occupa il volume, hanno contribuito e non poco a questo cambiamento nel dibattito.

«Negli anni della rapida crescita dei colossi della Silicon Valley che, poco alla volta, sono diventati i massimi poteri digitali di internet, era molto più difficile incontrare voci di intellettuali in controtendenza con il clima quasi egemonico di complessiva cieca fiducia nei confronti di quello che in quel momento si era soliti chiamare come il web2.0». Andava di moda quanto Evgeny Morozov chiamò «soluzionismo» e «internet-centrismo»: la teoria secondo la quale la rete era in grado di aggiustare processi politici della realtà, come non ne facesse parte e come se anche nella Rete non finissero per mostrarsi quei difficili equilibri – o direttamente conflitti – della vita vera. Tanto da attribuire alla rete il merito delle «primavere arabe».

Poi, però, è arrivata l’ondata delle inchieste giornalistiche, grazie all’aiuto dei whistleblower e di realtà come WikiLeaks, a trasmettere un nuovo senso pessimistico a quanto può accadere e ancora accade nella rete. Di Salvo nel volume si concentra su questo cambiamento di percezione, lo analizza e ne evidenzia limiti e possibilità, sottolineando il peso storico che il whistleblowing ha sempre avuto sul giornalismo e dunque sulla trasmissione delle informazioni. Un processo che ormai è in corso e non può essere fermato.