A via Argine la tensione è altissima da quando, martedì, Whirlpool ha annunciato che cesserà l’attività produttiva nel sito di Napoli dal primo novembre. I lavoratori sono in presidio dal 31 maggio, cercano di tenere la calma nonostante tutti si aspettino l’occupazione dell’impianto. Ieri uno schieramento massiccio delle forze dell’ordine circondava l’area davanti l’ingresso. Stamattina i lavoratori sfileranno fino a Palazzo Santa Lucia, sede della giunta regionale. Il governatore Vincenzo De Luca ha messo sul tavolo fino a 20 milioni di euro per invitare l’azienda a restare, ma solo in presenza di un «piano credibile».

IL DIRETTORE Comunicazioni della multinazionale Usa ha ribadito: «L’unico problema che abbiamo in Italia riguarda il prodotto fatto a Napoli». Una tesi smentita dai sindacati: «Altri stabilimenti sono in sofferenza come quelli di Siena e Comunanza, che stanno vivendo il calo dei volumi produttivi – spiega Claudia Ferri, coordinatrice nazionale Fiom del settore elettrodomestici -. Whirlpool sta subendo un dannoso calo delle vendite da anni, perdendo quote di mercato a vantaggio della concorrenza, per scelte strategiche sbagliate».

A Siena (455 dipendenti) i lavoratori spiegano: «Siamo consapevoli che quello che sta succedendo a Napoli potrebbe succedere anche da noi. Da anni stiamo facendo sacrifici con contratti di solidarietà, stipendi dimezzati e con la consapevolezza di un futuro incerto». A Fabriano, dove c’è il centro direzionale ex Indesit con 713 dipendenti, sono in contratto di solidarietà, lo stesso a Comunanza (451 dipendenti). Spiega ancora Ferri: «In base al Piano Italia sottoscritto con il governo a ottobre 2018, Comunanza doveva cedere le lavatrici a Napoli per concentrare la produzione sulle lavasciuga, facendo rientrare i modelli dalla Polonia.

Si prevedeva un incremento di vendite di lavasciuga tale da assorbire la manodopera in esubero. Questo picco però non lo abbiamo visto. Cancellare Napoli significa mettere in discussione la tenuta complessiva del piano», conclude.

A VIA ARGINE si aspettano una risposta dura da parte del governo. L’ipotesi di mettere in campo Invitalia per cercare investitori non è praticabile se Whirlpool non ritira la cessione. Quello che trapela dall’incontro di martedì a Palazzo Chigi è che la multinazionale statunitense vuole affidare la dismissione agli svizzeri di Passive refrigeration solutions, non ha intenzione di partecipare al capitale sociale e, se la Prs dovesse fallire, rientrerebbe in possesso del sito, libero però dai lavoratori e pronto per fruttare sul mercato.

I 420 dipendenti di Napoli vedono un futuro nero come il resto della filiera campana. Ci sono, infatti, i 60 dipendenti della Pasell (15 a Montoro e 45 a Forino nell’avellinese), settore gomma, la cui produzione va per il 60% a via Argine. Alla Cellblok di Montoro sono in 35, producono cemento, il 70% della committenza è Whirlpool. Alla ScameMed in 59 fanno gli oblò per via Argine, non hanno altro mercato e infatti sono fermi da luglio.

POI C’È CARINARO, dove c’è la logistica Whirlpool e i 245 dipendenti sono in solidarietà: un centinaio dovrebbero essere ricollocati attraverso un progetto di reindustrializzazione che, dal 2015, non si è mai trovato. Ulteriori 75 dovevano andare alla Seri per realizzare batterie al litio: 15 sono stati assorbiti, gli altri 60 sono in attesa che si risolvano «problemi burocratici». Spiega Nicola Ricci, segretario generale Cgil Campania: «Whirlpool sta diventando la vertenza simbolo che rischia di condizionare gli atteggiamenti di altri gruppi industriali internazionali presenti in Campania e nel Mezzogiorno e non lo possiamo consentire».