Giovedì prossimo protesteranno davanti al consolato Usa di Napoli, il 31 luglio saranno al ministero dello Sviluppo economico per un nuovo round con i vertici Whirlpool: gli operai partenopei ieri hanno scioperato, insieme ai colleghi degli altri stabilimenti italiani, e nella mattinata sono stati ricevuti dal prefetto. I lavoratori di via Argine dovrebbero cessare di produrre lavatrici il 31 ottobre, così ha annunciato la multinazionale Usa, ma potrebbe essere solo il primo passo per la fuga dall’Italia.

Spiega Claudia Ferri, coordinatrice nazionale Fiom del settore elettrodomestici: «Varese ha scioperato al 100%, Siena all’80%. Sono tutti molto preoccupati, soprattutto dopo la decisione della Whirlpool di incoraggiare gli esodi, che però chiamano “separazione volontaria”, per impiegati e dirigenti in tutta Italia. Si tratta di una cancellazione dei centri direzionali, della progettazione e si traduce in una lenta dismissione dei siti del paese, a cui in sostanza si sta togliendo il futuro. Al Mise diremo che il piano firmato da azienda e governo nel 2018 diceva l’opposto».

Il paravento per l’operazione è la pandemia: per ridurre i costi in tempo di crisi, fino al 26 luglio gli impiegati potranno ricevere 24 mensilità, con minimo garantito di 85mila euro, con l’aggiunta di ulteriori 45mila euro. Se si dovesse, invece, decidere di lasciare volontariamente il proprio posto di lavoro dal 27 luglio al 7 agosto, gli incentivi sarebbero 24 mensilità, con minimo garantito di 85mila euro più ulteriori 35mila euro. Ai dirigenti Whirlpool propone 24 e 22 mensilità, a seconda se si decide di uscire nella prima finestra o nella seconda. Per chi ha più di sei anni di anzianità le mensilità sono 32 o 29.

«La lavatrice d’alta gamma che avrebbero dovuto fare a Napoli l’hanno già portata in Cina senza neppure dichiararlo ufficialmente – prosegue Ferri -. Gli esempi di reindustrializzazione targati Whirlpool non sono credibili. L’ex Embraco di Riva di Chieri, nel torinese, è stato un fallimento. A Carinaro, nel casertano, la Seri non è partita e doveva già essere all’opera da due anni, della seconda impresa che doveva assorbire gli operai non abbiamo notizia e certo adesso non decollerà perché era legata a Fca di Pomigliano, che ora è ferma. Difficile che le proposte su Napoli siano credibili».

È poi il segretario generale della Cgil partenopea, Walter Schiavella, a spiegare: «L’assenza di politiche industriali, di un intervento deciso del governo, mette a serio rischio un sito produttivo che è di qualità e che può avere un mercato». Gianluca Ficco (segretario nazionale Uilm) e Antonello Accurso (segretario regionale Uilm) sottolineano: «Nell’ultimo incontro al Mise ci è parso chiaro che il ministro abbia assecondato la posizione aziendale provando a propinarci l’ennesima fantasiosa reindustrializzazione. Gli operai di via Argine sono stati chiamati a lavoro durante l’emergenza Covid, se erano importanti in quella circostanza lo devono essere sempre».