Cinquemila lavoratori del distretto industriale casertano hanno scioperato in solidarietà con i colleghi dell’Indesit di Carinaro: 815 operai che la Whirlpool vuole licenziare. Sono arrivati anche tre pullman di colleghi da Napoli, dove si producono lavatrici direttamente con il marchio statunitense. Ma c’erano anche i metalmeccanici della Fca e dell’Avio di Pomigliano d’Arco e dell’Alenia di Capodichino. E poi tanti lavoratori casertani che hanno attraversato crisi difficili: da Jabil a Firema, fino alle ormai chiuse Ixfin e Finmek.

Alla Indesit protestano da quando la multinazionale Usa ha presentato il piano industriale, con loro avevano le croci: ognuna con la data di assunzione e quella della fine, il 16 aprile. La Whirlpool aveva annunciato allora di voler chiudere Carinaro e il centro di ricerca e sviluppo di None, in provincia di Torino, più il trasferimento delle produzioni di Albacina a Melano per un totale di 1.350 esuberi. Tre giorni fa al ministero dello Sviluppo è venuta fuori la cifra reale: il taglio è di 2.060 unità, quasi un terzo dei 6.700 lavoratori italiani, e riguarda anche impiegati e addetti alla ricerca. «Chi non sta con i lavoratori sta con i camorristi. Renzi scelga da che parte stare» ha urlato ieri dal palco il segretario nazionale della Fim Cisl, Marco Bentivogli. L’ex segretario nazionale della Fiom, Giorgio Cremaschi, si è augurato che «i politici, impegnati a raccogliere sostegno elettorale, con la Whirlpool non prendano neanche un voto».

Lunedì sono previste due ore di sciopero nei siti delle Marche con presidio davanti agli uffici centrali di Fabriano, il 12 giugno ci sarà lo sciopero generale di otto ore in tutto il gruppo con manifestazione nazionale a Varese.

Terminata la manifestazione, una delegazione di Rsu di Carinaro ha raggiunto Matteo Renzi a Salerno, impegnato a promuovere la candidatura a governatore di Vincenzo De Luca. «Il presidente del Consiglio non è riuscito ad assumere un impegno forte sul futuro della Whirlpool – hanno raccontato – Ci ha detto che chiederà all’azienda di mettere le carte in tavola. Si è impegnato con noi sul mantenimento della missione produttiva del sito di Carinaro. Se non sarà possibile mantenere la presenza della Whirlpool ci ha assicurato il premier si tenterà un’altra produzione industriale, ma non si costruiranno supermercati». A luglio Renzi aveva definito l’acquisizione «un’operazione fantastica», il mese scorso a Pompei aveva rassicurato tutti: «Telefonerò agli americani». Ieri i lavoratori hanno letto nell’intervista rilasciata dal premier al Mattino: «Vorrei essere chiaro: Carinaro era spacciato anche prima dell’arrivo degli americani. Adesso noi abbiamo tre anni al massimo per mantenere aperto lo stabilimento e, allo stesso tempo, per difendere una destinazione industriale in quell’area del casertano».

Così le trattative del 2013 sono state una sorta di presa in giro, il taglio del 30% al personale messo sul tavolo allora è rispuntato adesso, ma nel frattempo la riforma degli ammortizzatori sociali rende gli esuberi più dolorosi.

Il segretario della Fiom casertana, Massimiliano Guglielmi, è netto: «Il governo continua a improvvisare oppure non racconta come stanno le cose. Due anni fa fu la Fiom a dire che il piano Indesit non andava bene e l’esecutivo invece spingeva per firmare l’accordo. Adesso ci dicono che abbiamo buttato 24 mesi e che difficilmente la Whirlpool tornerà indietro quindi ci vuole un piano B, con una differente missione produttiva per Carinaro. Il giorno prima il piano degli statunitensi era “inqualificabile” per la ministra Federica Guidi, poi scopriamo che hanno delle idee nuove. Lo diciamo chiaro: per noi la missione produttiva resta questa».

Critico anche il segretario generale Uil, Carmelo Barbagallo: «Non è ancora chiaro quello che ha in mente il Primo ministro. Se pensa a una sorta di eutanasia di Carinaro, noi non saremo assolutamente d’accordo». Secondo la Fiom, la salvezza passa attraverso il rientro di ulteriori produzioni, come le asciugatrici dall’Inghilterra o le lavastoviglie da Polonia e Turchia. Prodotti che non si fanno in Italia: «Saremo tutti a Varese – conclude Guglielmi – perché quello che succede a Caserta oggi, potrà capitare poi a Napoli, nella Marche o in Lombardia».