Days Gone è un western. Uno di quei western robusti, privi di fronzoli o velleità artistiche. Uno di quelli che preferiscono far parlare le pistole piuttosto che dare spazio alle analisi psicologiche o sociologiche. Non ci sono le Colt? Non ci sono i Winchester? Non ci sono i cavalli? Non siamo, è vero, nell’Ottocento, ma in un prossimo futuro dove un’epidemia globale ha trasformato la maggior parte della popolazione in qualcosa di simile agli zombie. Sopravvivono piccole comunità arroccate in rifugi, armate fino ai denti, che sfruttano come schiavi i superstiti per la produzione di derrate alimentari. Sopravvive la NERO, un misterioso apparato scientifico-militare i cui scienziati girano per il mondo in elicottero per studiare l’evoluzione del morbo attraverso i contagiati, scortati da invincibili guardie armate protette da tute blindate. Sopravvive una setta di esaltati tra il tossico ed il religioso definiti “ripugnanti”. Sopravvivono bande di predoni che saccheggiano accampamenti e depredano i viandanti. Sopravvivono infine i “randagi”: individui che campano sulle taglie che gli accampamenti pagano sugli zombie uccisi o sui predoni catturati e vendendo carne degli animali cacciati, pur non essendo visti molto meglio degli stessi predoni. I randagi si spostano velocemente nell'”incubo” – la “waste land” post epidemia – su moto sempre più potenti ed accessoriate e perennemente assetate di benzina. Se le moto sostituiscono i cavalli, revolver e fucili d’assalto, a pompa e da cecchino sostituiscono le armi preferite dai cowboy, senza contare da una parte le armi da mischia (dalle semplici assi raccolte per strada alle classiche mazze da baseball) che progressivamente impareremo a rendere sempre più efficaci e letali, e dall’altra la balestra, magari meno efficiente di un fucile da cecchino, ma altrettanto letale e soprattutto assolutamente silenziosa e con la caratteristica che le munizioni possiamo farcele da soli. Il pericolo più grande infatti nell’incubo sono i furiosi: così chiamati perché se quasi innocui da soli, quando ci scorgono si lanciano verso di noi richiamando tutti quelli nelle vicinanze. E già quattro o cinque assieme che riescono a circondarci sono una minaccia: figuriamoci se incontriamo uno sciame, formato da decine e decine di furiosi.

Nel gioco controlliamo Deacon St. John, già specialista dell’esercito statunitense dislocato in Afghanistan. Dopo aver visto morire tutta la sua unità torna a casa sotto l’effetto del disturbo da stress post-traumatico e viene salvato dall’unirsi ad una banda di biker dove stringe un’amicizia fraterna con Boozer. Amicizia che non viene appannata neppure dal proprio matrimonio con Sarah. Ovviamente tutto precipita con l’epidemia, e mentre il mondo va a rotoli Deacon riesce a mettere Sarah su un elicottero della NERO che sta evacuando i sopravvissuti, ma preferisce restare con Boozer. In seguito Deacon, sapendo della distruzione del campo profughi dove Sarah doveva essere portata ne presume la morte e passa due anni a girovagare per l’incubo con l’amico, fino a quando quest’ultimo viene catturato da una banda di ripugnanti e ridotto in fin di vita. Per salvarlo Deacon deve venire a patti con gli accampamenti ma contemporaneamente scoprirà che Sarah potrebbe essere ancora viva.

Durante il gioco (sviluppato da SIE Bend in esclusiva per Playstation) dovremo aggirarci nell’incubo – un mix di monti, cittadine, zone rurali in cui la natura ha preso il sopravvento – in stile “Far Cry” in terza persona, eseguendo le missioni che gli accampamenti ci assegneranno, recuperando medicinali ed altre scorte per Boozer, ma anche saccheggiando gli avamposti della NERO, distruggendo nidi di furiosi ed eliminando avamposti di predoni. Il tutto sulla nostra fidata motocicletta, che potremo potenziare ed accessoriare grazie ai soldi ricevuti con le taglie ed in base alla fiducia che riusciremo a guadagnarci completando le missioni e mandando negli accampamenti persone salvate nell’incubo. Allo stesso modo della motocicletta, potremo progressivamente potenziare le abilità di Deacon sia utilizzando i dispositivi nascosti negli avamposti NERO, sia mediante un classico albero di abilità sbloccabili con i punti esperienza. Se sarà abbastanza semplice affrontare i furiosi (basta restare nascosti nei cespugli, cosa che raramente funziona invece con i predoni) la tattica dovrà sempre preferire l’approccio stealth. Non di rado infatti anche durante l’attacco ad un avamposto di predoni, se ci faremo vedere e da loro sparare, il pericolo più grosso potrebbe diventare uno sciame improvvisamente attratto dal rumore. Ed è veramente terrorizzante essere rintanati dietro un misero riparo mentre ci stanno sfilando a pochi passi decine e decine di esseri ringhianti ed affamati di carne umana.

I randagi quindi come ronin/cowboy erranti sui loro fidi destrieri di metallo, a caccia di selvaggi o di banditi per riscattarne le taglie, ma diffidenti delle regole delle comunità/accampamenti, che al lavoro nei campi o nelle officine preferiscono la libertà offerta dal risalire in sella alla loro moto ed andarsene altrove. E quando passiamo da un livello all’altro – ovviamente con un viaggio in moto – non può mancare la ballatona country a segnare, anche musicalmente, il mood.

Come suggerito all’inizio, Days Gone è un titolo che ai fronzoli preferisce un solido gameplay, col rischio di diventare un po’ ripetitivo per offrire missioni e sfide alla lunga un po’ troppo simili tra loro. Ma la ripetitività è un prezzo che si è disposti a pagare di fronte al mondo selvaggio dell’incubo ed alla possibilità d’esplorarne in lungo e in largo i selvaggi e spesso pericolosi sentieri.