Anche quest’anno I Mille Occhi, che in omaggio a Carlo Emilio Gadda intitola la sedicesima edizione «Eros e Priapo», si pone come un invito al viaggio, un’occasione per scoprire e riscoprire alla nuova luce del presente personaggi e pellicole rare, sconosciute, perdute e ritrovate, nascoste o dimenticate.

Comincia domani il festival internazionale del cinema e delle arti ideato da Sergio M. Grmek Germani e «messo in scena» al Teatro Miela di Trieste (15 – 21 settembre). Un appuntamento imprescindibile per chiunque, cinefilo, curioso amateur o semplice neofita della settima arte, desideri allargare i confini delle proprie conoscenze attraversando, in maniera del tutto libera e trasversale, generi, epoche e territori diversi.

Tra le rarità scovate e fatte tornare alla luce c’è anche l’hardcore, perduto e recentemente recuperato da Simone Starace in versione integrale, firmato dal maestro del New Horror Wes Craven. Realizzato nel 1975, tre anni dopo L’ultima casa a sinistra e anticipando di poco il successivo Le colline hanno gli occhi, The Fireworks Woman (proposto in copia 35mm d’epoca nella versione estesa italiana, la più completa esistente, intitolata La cugina del prete) riemerge dopo anni di oblio dal sottobosco dell’underground americano degli anni Settanta, uncomfort zone dell’industria cinematografica statunitense che ha trovato nella trasgressione e nella rappresentazione esplicita del sesso la sua arma più affilata contro il sistema.

Se il direttore del festival non esita a definirlo «il più bel film di Wes Craven» è probabilmente perché all’interno già si evincono i tratti – sia tematici che visivi – della sua successiva produzione, schegge di quella forza anarcoide e sovversiva destinata a scuotere a un livello profondo la società borghese, bigotta e benpensante dell’epoca, che troverà nella violenza della saga di Nightmare la sua forma più compiuta.

Mettendo in scena il delirio erotico-sentimentale di Angela (la porno star Jennifer Jordan, sensualissima e aurorale) e Peter (Eric Edwards), fratelli nella versione originale, cugini in quella italiana, Craven abbatte qualsiasi tabù: incesto e religione, mescolando con disinvoltura sinistre inquietudini con massicce dosi di leggerezza e ironia.

Per espiare le sue colpe Peter si chiude in seminario per farsi prete, precauzione che -ovviamente- non basta a sottrarlo all’attrazione per la sorella/cugina. Dal canto suo, Angela vive la separazione forzata come una condanna alla quale reagisce abbandonandosi alla lussuria, non sempre consenziente. Nel tentativo di soffocare il suo desiderio proibito, si sottomette alle voglie di una signora benestante che la coinvolge in giochi erotici di dominazione assieme a un arcigno sodale; cercando la fuga in mare, a bordo di una barca che sarà teatro di febbrili fantasie erotiche, finirà coinvolta in un ménage a trois, assieme a una coppia che la sottrae a un improbabile naufragio; subirà anche lo stupro da parte di un pescatore, rea, con la sua bellezza sfacciata, di scatenare le voglie di chiunque incontri il suo passaggio; per poi finire – prima del risolutivo, salvifico o immorale, forse persino romantico, intervento di Peter – in un’orgia frenetica che si consuma tra i fedeli della parrocchia.

Craven, che qui si firma sotto lo pseudonimo biblico Abe Snake (qualcosa che suona come Abele il serpente) non lascia spazio all’immaginazione. Sfodera un ampio repertorio di crocifissi e crocifissioni, flagellazioni e autoflagellazioni, inginocchiamenti e pratiche sessuali per ogni gusto e abiezione. Un porno tout-court, insomma, crudo ed esplicito, che muove lo sguardo tra feticismi di vario genere, fist-fucking, piogge dorate e altre perversioni. La sua furia iconoclasta si abbatte sull’istituzione ecclesiastica senza rinunciare al contempo a uno sguardo sul paesaggio americano ( tutto in esterni) e sulla società, di cui mira a smascherare pulsioni segrete e ipocrisie.

Il regista di Nightmare non si sottrae a un certo lirismo/onirismo dell’immagine, né a un inaspettato romanticismo confermato dalle note del Canone in D di Pachelbel che accompagnano gli amplessi tra Angela e Peter e che culmina nell’happy-ending, con la fuga dei due amanti.

Ma neppure sfugge a un fascino profondamente disturbante e misterioso, che trova la sua perfetta incarnazione nella sinistra figura del «Destino», deus ex-machina interpretato dallo stesso Craven, «l’uomo col cilindro» che pare il Dracula/Oldman di Coppola, o «l’uomo dei fuochi d’artificio», forse il Diavolo, particolarmente inquietante nelle primissime inquadrature del film. Quando – dopo aver gettato un suadente sguardo in favor di camera – si volta e si addentra lentamente nel bosco, o in un giardino, vestito da scheletro, tenendo una bambina nuda per mano. In versione hard, o in versione horror, quello raccontato da Craven è pur sempre il volto di un’America da incubo.