Wendy Brown può essere considerata una nomade dal punto di vista intellettuale, anche se la sua formazione «californiana» è una radice di tutta la sua opera. Nata nel 1936, è docente da sempre a Berkeley, tolta una breve pausa all’università di Saint Cruz. Più volte visiting professor alla Cornell University, alla Columbia e alla London School of Economics, la sua formazione è avvenuta a cavallo degli anni Sessanta e Settanta, lavorando sui testi di Max Weber, Karl Marx, gli autori della scuola di Francoforte (ha un rapporto di vicinanza e di sottolineata e marcata distanza con Jurgen Habermas); non ha neppure disdegnato la frequentazione con l’opera di Nietzsche, dei «continentalisti» e recentemente con quella di Michel Foucault. Una delle più importanti teoriche del problema della democrazia in età neoliberale, tra i suoi libri tradotti vanno ricordati: Stati murati, sovranità in declino, La Politica fuori dalla storia (entrambi per Laterza).
In occasione dell’uscita del suo ultimo volume In the Ruins of Neoliberalism edito da Columbia University Press (ne ha scritto Paola Rudan su il manifesto del 28 Novembre 2019), l’abbiamo raggiunta per farle alcune domande.

Nel suo ultimo libro lei discute il problema di come il neoliberalismo indebolisca la democrazia. Il processo di «impeachment» nei confronti di Trump sarà capace di rivitalizzare la democrazia negli Stati Uniti?
Molti sostenitori di Trump, e anche molti che non lo sostengono, stanno liquidando il procedimento di impeachment come un battibecco tra partiti, come un tentativo del Partito Democratico di ostacolare la presidenza di Trump. Questo dimostra che la nostra democrazia è in pessimo stato.

Nel suo resoconto, il successo di Trump è stato favorito dal risentimento di una parte dei maschi bianchi della classe operaia e della classe media. Non pensa che imputare loro l’ascesa di Trump possa prestare il fianco a quella logica della frammentazione alla base del programma neoliberale?
La democratizzazione del capitalismo nel Nord globale dopo la seconda guerra mondiale ha comportato l’implementazione di una serie di misure di giustizia sociale. Questi correttivi del capitalismo hanno generato la possibilità di una ascesa sociale per molti soggetti bianchi operai e di classe media. Il neoliberalismo ha accantonato tutto questo, attaccando non solo lo Stato sociale ma anche i sindacati, il salario minimo, l’accessibilità dell’educazione universitaria. Chi si è ribellato a tutto questo? La popolazione bianca, operaia e di classe media, che contava sulla promessa di una vita decente per sé e migliore per i propri figli. Si è rotto il contratto sociale post-bellico che aveva promesso sicurezza e mobilità sociale alle classi medie e operaie bianche. La destra ha trasformato la frustrazione in rabbia razzista e sessista, secondo una narrazione per cui neri, donne e migranti hanno sfruttato le opportunità che la classe operaia bianca aveva perduto.

Come si concilia questa spiegazione del successo di Trump con il fatto che anche alcune donne bianche e persino alcuni migranti di lunga data abbiano votato per lui?
Ci sono almeno una dozzina di tipologie di elettori di Trump: dagli uomini bianchi risentiti, a coloro che credevano davvero che avrebbe aumentato i posti di lavoro e arginato la deindustrializzazione. Molti di coloro che sostengono Trump sono anche arrabbiati per il trattamento condiscendente che ricevono dall’élites urbane. Poi ci sono gli elettori della «destra dura» e i plutocrati. C’è l’industria petrolifera, il settore Fire (finanza, investimenti, rendita immobiliare) e tutte le altre industrie altamente inquinanti a cui Trump ha dato nuova vita. E poi la destra religiosa. Ci sono insomma diversi tipi di elettori, ma ciò che li unisce è il sostegno a un programma autoritario, antidemocratico, misogino e sessista, razzista, che in più ha al centro un capitalismo ruggente e l’indifferenza verso il pianeta e la crisi climatica.
Il cambiamento climatico è una minaccia esistenziale che può portare all’estinzione dell’individuo. I giovani di Fridays for Future saranno in grado di mettere in discussione il neoliberalismo?
Ciò che è incredibile di Fridays for Future è l’insistenza sul fatto che non c’è niente di più importante che prendersi cura del pianeta e dei suoi abitanti in modo sostenibile. L’idea che l’importanza dell’accumulazione del capitale debba essere subordinata alla difesa del pianeta sta diventando senso comune. Si tratta di un’idea che è ormai entrata nel dibattito politico mainstream e in larga parte delle coscienze. Questo è rivoluzionario.

Nel suo libro, l’istanza democratica è legata alla possibilità che le rivendicazioni per l’uguaglianza siano rivolte direttamente allo Stato. D’altra parte, l’autonomia dello Stato è minata dalla dimensione transnazionale di quegli stessi poteri. Com’è possibile affrontare questa tensione?
La domanda di democrazia deve oggi rivolgersi allo Stato e allo stesso tempo andare oltre lo Stato. Deve chiedere che lo Stato contribuisca alle condizioni di uguaglianza politica e si impegni a proteggere tali condizioni attraverso l’istruzione, l’emancipazione universale, elezioni davvero democratice e condizioni di vita che rendano possibile la partecipazione politica. Una cosa è protestare contro le politiche antidemocratiche del Wto, dell’Fmi e di altre istituzioni transnazionali, un’altra è immaginare la democrazia a livello globale. Alcuni movimenti sociali transnazionali confondono la solidarietà con la democrazia. La democrazia rappresenta l’aspirazione di un popolo a governare se stesso. La solidarietà rappresenta lo sforzo di costruire alleanze tra lotte diverse o rappresenta lo stare insieme per qualcosa. La democrazia richiede che si sappia chi è il «noi» che mira a governare se stesso, che le persone abbiano il controllo sulle proprie condizioni di vita. Questo è diverso dalla solidarietà transnazionale.

I migranti però difficilmente possono essere considerati soggetti ancorati a un luogo solo.
Se si pensano i migranti come soggetti che si muovono continuamente, li si sta essenzializzando come migranti, rappresentando tutti i migranti come nomadi. Certamente c’è bisogno di garantire diritti per gli apolidi, per i migranti e per i rifugiati. Abbiamo bisogno di movimenti sociali che promuovano un senso di appartenenza, pratiche e istituzioni che lavorino per ottenere una profonda liberazione e che si confrontino con problemi locali.
Se guardiamo ai movimenti delle donne che si sono diffusi negli ultimi due o tre anni, vediamo che risuonano l’uno con l’altro, dichiarando che il patriarcato è globale.
Ci sono delle risonanze tra le lotte delle donne in tutto il mondo. Questo crea le condizioni per una solidarietà tra movimenti e anche per ciò che potremmo chiamare uno stimolo reciproco – una lotta per la libertà riproduttiva, contro la violenza sessuale o contro il femminicidio. Ma se il patriarcato è globale, non è universale il modo in cui si manifesta. Non si presenta mai solo e si interseca con altri sistemi di potere – di classe, casta, razza, religione, «cultura» – anche se alcuni problemi possono essere percepiti come comuni a tutte le donne. Più c’è solidarietà, più forti siamo nel ribellarci al patriarcato e nel trasformarlo.

Crede che il nuovo femminismo globale sarà capace di mettere in discussione la logica antidemocratica del neoliberalismo?
Il femminismo può benissimo essere neoliberale. Non ci sono garanzie che il femminismo possa mettere in questione la logica antidemocratica del neoliberalismo oppure del colonialismo, del capitalismo, dell’eteronormatività, del «cristiano-centrismo». Queste sfide devono essere sviluppate in modo esplicito e perseguite attivamente. Come spingere le classi privilegiate a partecipare a un movimento rivoluzionario e come allargare un movimento contro un tipo specifico di dominio trasformandolo in un movimento che si opponga a quanti più tipi di oppressione possibili? È facile denunciare quello che non funziona, più difficile è mettersi in gioco per un cambiamento. Vogliamo un pianeta in salute e giustizia sociale. Quindi dobbiamo cominciare a immaginare una vita diversa e non solamente protestare contro la situazione attuale.

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La versione integrale di questa intervista è stata pubblicata su connessioniprecarie.org