Per chi non abbia visto la mostra su Wendingen, il mensile d’arte e d’architettura più ammirato degli anni Venti, allestita nella Biblioteca dell’istituto universitario d’architettura di Venezia, si segnala una seconda possibilità data da quella aperta al Labirinto della Masone, sede espositiva dell’editore-collezionista Franco Maria Ricci.
Nelle sale della sua speciale Wunderkammer immersa in un borgesiano labirinto di bambù, si può ammirare (fino al 15 marzo 2020) la storia di una delle ultime e più seducenti vicende editoriali dell’Art Nouveau.
Con il titolo Wendingen 1918 – 1931. Rivolgimenti sospesi tra Jugendstil e astrazione riscopriamo l’intera raccolta della rivista olandese posseduta dall’editore parmigiano – centosedici numeri dal 1918 al 1932 – e così ammirare con intatta meraviglia ciò che si scoprì la prima volta nel 1986, quando all’apice del suo successo di aristocratico editore e grafico, Ricci pubblicò la prima omonima monografia nella sua collana «Quadreria».

L’IMPORTANZA di Wendingen sta nel fecondo incontro tra l’architettura e le arti figurative e plastiche nel segno dell’opera d’arte totale (Gesamtkunstwerk), nel caso specifico tra un’associazione di architetti, «Architectura et Amicitia», e un nutrito gruppo di artisti: da Jan Toorop a Diego Riveira, da El Lissintzky a Samuel Jessurun de Mesquita.
Si deve al giovane architetto Hendrik Wijdeveld la trasformazione del bollettino di un’associazione in una raffinata rivista con rilegatura giapponese con nastri di rafia, stampata su carta di riso, ma soprattutto con copertine quadrate (33×33 cm) inscrivibile nel rettangolo aureo: ogni numero un’opera d’arte in sé per la qualità dell’invenzione grafica.

ALMENO PER PIÙ di un decennio Wendingen fu il sismografo della «svolta» nel campo dell’arte quando questa era «ancora legata ai furori della modernità eclettica» (Portoghesi). Accolse così l’espressionismo delle architetture della «Scuola di Amsterdam» (M. de Klerk, P. Kramer, J. M. Van der Mey), dedicando però per prima in Europa una speciale attenzione a Frank Lloyd Wright, come la mostra evidenzia con i sette Wright-nummern usciti tra il 1925-26, oltre a quello monografico del 1921 con la copertina suprematista di El Lissintzky.
A differenza di altre riviste (Pan, Ver Sacrum) gli interessi della redazione spaziavano dagli ex libris all’arte orientale, dalle bambole alle icone russe fino alle meraviglie dei minerali. Wendingen rispecchiò il «dinamismo» di Amsterdam, l’attitudine a includere tutto ciò che era empatico e visionario.
Il contrario di Rotterdam, analitica e razionale, dove Theo van Doesburg con la rivista De Stijl propagandava il rigore del Funzionalismo. Due maniere di intendere la modernità che Mendelsohn nel 1923 fu il primo a segnalare in una conferenza tenuta ad Amsterdam invitato da Wijdeveld, e per le quali auspicava una loro riconciliazione che il secondo conflitto mondiale spezzò senza possibilità di appello.

È INDUBBIO che Wendingen abbia contribuito a diffondere in tutta Europa uno spirito nuovo nelle arti. Quanto l’abbiano sfogliata Galileo Chini per la decorazione delle Terme Berzieri di Salsomaggiore o Amedeo Bocchi per i dipinti nella Sala del Consiglio della Cassa di Risparmio di Parma, non è dato saperlo, tuttavia la curatrice della mostra, Gloria Bianchino, ha voluto suggerirne delle «tangenze», altrettanto con le riviste Campo Grafico e Casabella. Resta però insoluto quale ruolo abbia avuto la rivista olandese nel dibattito artistico tra le due guerre in Italia. Ci sarà occasione di chiarirlo in futuro con studi più circostanziati e documentati.