A Los Angeles sono diventate elemento fisso dell’arredo urbano. Tende coperte sudicie, cianfrusaglie valigie e borse, resti di cibo racimolato fra i rifiuti – i detriti di un nomadismo urbano che dilaga, forma un città ombra. È la nazione degli homeless la cui popolazione, in crescita verticale, non è più limitata agli storici distretti come lo Skid Row all’ombra dei grattacieli del centro finanziario di Downtown ma è ormai endemica, dalle strade di Hollywood ai lungomare di Santa Monica, una vergogna quotidiana ed impossibile da ignorare qui come ormai nella maggior parte delle città americane.

NELLA CONTEA DI LOS ANGELES vivono quasi 60.000 homeless (58.936 stando all’ultimo censimento, il 12% in più rispetto all’anno precedente). Fra chi vive regolarmente in strada l’aspettativa media di vita è di appena 45 anni e nella contea di Los Angeles i decessi annuali sono aumentati drasticamente – dal 536 nel 2013 a 1.047 lo scorso anno.

Un’emergenza cronica che è ormai il problema che eclissa ogni altro, come ammette lo stesso sindaco, Eric Garcetti, che ne ha fato la priorità del proprio mandato. A Skid Row, il distretto dove sono concentrati i pochi rifugi e le mense pubbliche, il degrado, da sempre impressionante, assume oggi dimensioni dantesche. Isolato dopo isolato, i marciapiedi sono fitti di persone raggomitolate fra mucchi di rifiuti in condizioni di sudiciume peggiori di quelle esistenti nelle grandi capitali della povertà del terzo mondo.

Il Tenderloin di San Francisco, l’elegante città sulla baia all’ombra di Silicon Valley, se possibile è pure peggio. Vicino alle Tesla che solcano silenziose le strade intorno ai grattacieli del centro, ci sono ovunque barboni che rovistano nei cassonetti o improvvisano giacigli con scatole di cartone.

PER ANNI LA POLIZIA nelle città californiane ha regolarmente fatto sgomberare gli insediamenti di fortuna, sequestrando gli averi dei malcapitati. Ma da quando una serie di sentenze dei tribunali federali hanno decretato che la pratica costituisce una violazione dei diritti civili, gli accampamenti si sono moltiplicati.

Sui marciapiedi sono spuntate tende, teli e altri ripari di fortuna, le strutture mobili di una città parallela, tangibile manifestazione urbanistica della diseguaglianza sempre più palesemente insostenibile nell’attuale fase delle economie di mercato. Quella degli homeless è piaga dilagante nei paesi sviluppati, la cattiva coscienza di un liberismo incrinato che fatica nel mezzo di un consumismo esasperato, a prendersi cura dei più deboli. Negli Stati Uniti, dove Wall street da dieci anni passa di record in record, l’erosione di una già esigua rete sociale d’accordo con le politiche «anti buoniste» dell’amministrazione Trump ha reso ancor più concreta la prospettiva dell’emarginazione abitativa per milioni di cittadini permanentemente sospesi ai margini della povertà.

LE STATISTICHE dicono che il 40% degli americani non potrebbero sostenere una spesa improvvisa di oltre 400 dollari, ed è impressionate quante famiglie vivano «criticità abitative» pur mantenendo uno più impieghi, semplicemente insufficienti a sostenere le spese primarie. Un sondaggio dello scorso anno ha contato 568.000 homeless in tutta America. Spesso basta una bolletta maggiorata o, un caso tipico, un conto medico imprevisto, per subire uno sfratto dopo il quale si apre la voragine della strada (o di un motel, o di un automobile adibita a giaciglio) – capolinea di una discesa repentina ai margini della società.

NEW YORK E LOS ANGELES sono le capitali americane dei senza casa. A New York dove non è possibile sopravvivere l’inverno senza riparo, le leggi impongono posti letto sufficienti nei rifugi cittadini per i 70.000 homeless, un palliativo che evita in teoria il peggio. Il clima mite della California, vantata quinta economia mondiale, è calamita naturale per una popolazione di centinaia di migliaia di persone senza casa che gravita verso le città della West Coast, luoghi dove allo stesso tempo l’economia «ufficiale» e una nuova bolla immobiliare fa levitare gli affitti fino a renderli inarrivabili per un numero sempre maggiore di comuni lavoratori.

IL MIRACOLO CALIFORNIANO – un’economia da 3.000 miliardi di dollari e record negativo di disoccupazione – ha in cantina un ritratto di Dorian Gray fatto di un prezzo medio di una casa di oltre 500.000 dollari e 18% della popolazione sotto la soglia di povertà. I mali paradigmatici del capitalismo digital-finanziario.
Il caro affitto si sovrappone ad altre piaghe sociali, in particolare problemi di dipendenza e salute mentale. In assenza di assistenza socializzata, i marciapiedi sono diventati depositi per psicolabili, schizofrenici, reduci con sindromi post traumatiche. Nel paese della salute a pagamento, diventano regolarmente virali video di pazienti indigenti letteralmente scaricati da ambulanze sul selciato, come rifiuti umani.

In assenza di efficaci iniziative pubbliche ogni assistenza è lasciata alla filantropia privata, enti religiosi e Ong, coadiuvati da esigui organici di assistenti sociali. In cerca di possibili modelli, Los Angeles ha di recente inviato una delegazione fino a Trieste per studiare come la città adriatica riesce ad integrare la popolazione psicolabile. L’avvento del nazional populismo minaccia intanto di disfare anche i minimi progressi. La tendenza è semmai un ritorno alla tolleranza zero – secondo la nota formula in cui ogni problematica sociale viene ridotta ad un problema di ordine pubblico, la criminalizzazione della povertà.

MA LA RETORICA discriminatoria e celodurista fa facile presa e i tentativi del comune di Los Angeles di aprire rifugi o costruire alloggi a basso costo suscitano regolarmente rivolte di cittadini contrari agli insediamenti nei propri quartieri. Garcetti è dovuto ricorrere allo stato di emergenza per imporre le strutture –che rimangono comunque penosamente insufficienti. Intanto perdono la casa 150 persone ogni giorno.

In questa stagione elettorale al coro delle critiche si è aggiunto ora (con rara malafede) il presidente palazzinaro specializzato in residence per miliardari, felice di soffiare sul malcontento negli odiati «stati blu». Negli ultimi mesi, Trump ha preso a denunciare lo stato «impresentabile» delle città californiane «infestate di barboni», descrivendo la situazione come «fuori controllo».

«La California è prima nella nazione per numero e per incremento degli homeless» ha dichiarato. «Crazy Nancy farebbe bene a concentrarsi sul problema assieme al governatore incompetente». Una stoccata alla «nemica» presidente della Camera Nancy Pelosi e al governatore democratico Gavin Newsom. A onore del vero, lo speculatore edile nella Casa bianca prende apertamente la parte dei miliardari: non si duole delle condizioni delle vittime ma lamenta quanto lo «spettacolo inverecondo» offerto dagli straccioni nuoccia ai valori immobiliari di «splendidi grattacieli» costati un occhio della testa.

TUTTA COLPA, non manca di aggiungere, dei democratici inetti, come ha ripetuto in un tweet di Natale: «Il governatore ha fatto un pessimo lavoro sul problema degli homeless. Se non riesce a risolvere, ci penserà il governo federale».

Le promesse/minacce di intervenire adottando non meglio precisati provvedimenti fa supporre solo il peggio agli amministratori californiani, che hanno sotto gli occhi quelle già prese nei confronti e di immigrati, richiedenti asilo e famiglie di profughi, separate senza pietà. A ottobre una delegazione di Washington è venuta a Los Angeles ad ispezionare istallazioni militari dismesse facendo plausibilmente supporre la «soluzione» dell’internamento coatto di homeless per toglierli dalla circolazione e soprattutto per mettere in imbarazzo amministrazioni democratiche prima delle elezioni.

CONSIDERATA LA MANIFESTA assenza di scrupoli del presidente è lecito prevedere retate o altre malaugurate prova di forza calibrate per massimo effetto durante la campagna elettorale. Sarebbe un ritorno alla strategia punitiva che designa la polizia ad unico interfaccia coi senzatetto – la struttura meno preparata ed idonea, come dimostrano i regolari omicidi di squilibrati da parte di agenti dal grilletto facile. È il modello in cui il complesso carcerario-industriale fa le veci di strutture assistenziali, la punizione prende il posto della terapia.

Proprio nel momento in cui le dimensioni del problema richiederebbero soluzioni radicali, il trumpismo promette di sdoganare la repressione e il «darwinismo» che considera gli homeless come danno collaterale della mobilità sociale riservata ai più efficienti.

Una criminalizzazione della povertà perfettamente in linea con l’azione trumpista su ambiente, immigrazione, welfare è solo l’ultimo tassello del neo-autoritarismo americano.