Il villaggio di Longnan, nella provincia del Jiangxi è il protagonista della mostra Hakka Earthen Houses on variation-Comunità, Arte e architettura migratoria in Cina, evento collaterale della 17/a Biennale Architettura di Venezia.

Dodici artisti sono stati invitati dal direttore artistico Ying Tianqi a interpretare con il loro linguaggio la cultura degli Hakka, un popolo di circa 80 milioni di persone, attraverso le tipiche case di terra battuta, i tulou, che nella provincia del Jiangxi e del confinante Guangdong assumono caratteristiche particolari e vengono chiamate Weiwu, «case cintate», o «casa fortezza». Nel corso della storia, in seguito a diverse fasi migratorie, dalla Cina centrale, gli Hakka si sono stabiliti nelle province meridionali del Fujian, Jiangxi e Guangdong, per poi da lì trasferirsi, dalla fine del XIX secolo, in tutti i paesi. Popolo migrante e sedentario; rurale e urbano allo stesso tempo, sfugge alle etichette dicotomiche con cui si tende a descrivere la Cina contemporanea, e si espande nel mondo grazie alla forte tendenza migratoria e alla grande capacità di adattamento in ambienti nuovi.

Per difendersi pacificamente dalle condizioni ostili che spesso i nuovi migranti incontrano negli ambienti di insediamento, negli ultimi 500 anni hanno sviluppato questa forma di abitazione di terra cruda e legno, che non prevede l’utilizzo di metalli. Sono edifici alti fino a 5 piani, di forme varie: tonde, quadrate, ovali, poligonali, a forma di animale o di carattere cinese, e che al loro interno ospitano fino a 500 persone, membri della stessa famiglia. Ossia, ospitavano, perché dagli anni 90 molti sono di nuovo emigrati verso le grandi città cinesi, o all’estero, e questi maestosi Weiwu si sono svuotati e vivono la minaccia dell’abbandono e dell’oblio. Tesori preziosi, sia dal punto di vista architettonico sia culturale, come dimostra l’inserimento di alcuni di questi villaggi, quelli del Distretto di Yongding, nel Fujian occidentale, nelle liste del patrimonio Unesco. Antropologicamente sono una testimonianza di una cultura viva, in mutazione, quella degli Hakka, che vive sul binomio della solidarietà tra le persone, e dell’armonia con la natura.

La mostra offre molti spunti di riflessione, tra cui il fatto che, durante il periodo di emergenza del Covid-19, in questi villaggi, come afferma Xu Weiqun, direttrice del Centro di studi e ricerca sugli Hakka del Fujian e di Taiwan dell’Università di Longyan, non ci sono stati contagi. Segnale che la coesione e il rispetto della natura sono importanti ancore di salvataggio.
La mostra, curata da Wang Lin e Angelo Maggi, è allestita negli spazi suggestivi di Forte Marghera (Padiglione 30, visitabile fino al 21 novembre). È stata inaugurata alla presenza della rettrice Tiziana Lippiello, sinologa, dell’assessore del comune di Venezia Paola Mar e della direttrice dell’Istituto Confucio di Venezia Ma Xiaowei.