Forse cercando, in modo veramente improbabile, di normalizzare la circostanza, Harvey Weinstein si è presentato alla stazione della polizia delle downtown di Manhattan, dove si è costituito, ieri mattina alle 7.30, armato di libri – una biografia di Elia Kazan e un testo su Rodgers e Hammerstein (secondo il «NYTimes»). Né più né meno come se si preparasse a una lunga attesa nella sala d’aspetto di un dentista. Poco dopo la sua apparizione nella centrale di TriBeCa, vicino ai suoi vecchi uffici, Weinstein è stato portato in tribunale, davanti a un giudice, dove sono stati formalizzati i capi d’imputazione- stupro aggravato (primo e terzo grado), atti sessuali di natura criminale e abusi sessuali. Accuse, ha detto l’avvocato del produttore, in un breve scambio con i giornalisti fuori dal tribunale, di cui il suo cliente si ritiene e si dichiarerà innocente.

Nonostante «la resa» di Weinstein alle autorità sia stata il risultato di una lunga trattativa e di un accordo grazie al quale Harvey è stato rilasciato in stato di libertà condizionale, su una cauzione di dieci milioni di dollari di cui uno già versato alla Corte, con in più l’accordo di non poter viaggiare al di fuori degli stati di New York, del Connecticut (dove risiede) e su restituzione del passaporto, l’arresto di Weinstein ha quasi obliterato nelle news il fallito summit coreano e quelle, ancora più preoccupanti, sull’inchiesta di Mueller.

Il breve tragitto di Weinstein, dalla stazione di polizia al Suv nero che lo avrebbe portato in tribunale, evocava l’atmosfera da circo di alcuni dei suoi tappeti rossi (grida di «Harvey!», «Harvey!», lui in maglioncino azzurro sotto la giacca – senza più libri, le manette nascoste il più possibile alla vista delle telecamere – che sforzava l’ombra di un sorriso) e di un altro arresto di grande portata mediatica, quello di Dominique Strauss Kahn. L’ombra di quel caso pesa ancora sulla procura di Manhattan, che decise di non intentare un processo contro l’aspirante candidato alla presidenza francese. Come pesano le accuse che i magistrati di New York abbiano in passato chiuso troppo in fretta un occhio su altre malefatte di Harvey. In realtà, si sono difesi loro, le accuse di improprietà o violenza sessuale sono spesso molto difficili da provare davanti a una giuria.

Dopo tutti questi mesi di inchiesta, in cui circa ottanta donne si sono fatte aventi accusando Weinstein di vari livelli di aggressione, i due casi che la procura newyorkese ha deciso di presentare contro l’ex potentissimo capo della Miramax sono quello di Lucia Evans, un’aspirante attrice che lo ha accusato di averla costretta a fare sesso orale durante un’audizione che ebbe luogo nell’ufficio di lui, nel 2004, e quello di un’altra donna (per ora non pubblicamente identificata) che lo ha accusato di averla stuprata nel 2013.

Essendo in Weinstein, l’origine stessa del movimento #Me Too, il suo arresto ha risvolti – simbolici e non – che vanno ben aldilà dei due casi per cui sarà processato. Sui social, alcune delle sue accusatrici più note come Rose McGowan, Asia Argento e Mira Sorvino hanno celebrato la notizia e il video dell’arresto. «Posso avere un posto in prima fila?» ha twittato Annabella Sciorra. «Ti abbiamo preso Harvey Weinstein. Ti abbiamo preso!» era uno dei tweet di Rose McGowan.

Da parte sua, «mentre il suo cliente lasciava il tribunale da un’uscita posteriore, l’avvocato di Weinstein ha definito le accuse «non comprovabili dal punto di vista dei fatti e fallate da quello costituzionale», anticipando che non avrebbero retto di fronte a una giuria di dodici persone. Ma, come ha provato l’esito del secondo processo a Bill Cosby (dopo che il primo era stato inconcludente), il clima è molto cambiato rispetto a nove mesi fa.