Molti credevano che questo giorno non sarebbe mai arrivato. Solo qualche settimana fa, un executive che ha lavorato per anni al fianco di Harvey Weinstein mi diceva: «Non riusciranno a condannarlo, questi casi sono difficilissimi da provare». Invece, mentre dall’altra parte degli States Beyoncé si preparava a dare inizio al memorial di Kobe Bryant, e Michael Bloomberg vede la sua scommessa presidenziale messa in forse dal #MeToo, è arrivato un verdetto, che è carico anche di valore simbolico.

AMMANETTATO e – a sentire i presenti – con un’espressione incredula sul volto, dall’aula del tribunale della Corte suprema di New York, Harvey Weinstein è stato trasportato direttamente in carcere, dove dovrebbe stare fino all’annuncio della sentenza, attesa entro l’11 marzo prossimo. Poco dopo la lettura della decisione della giuria, che ha decretato il produttore colpevole dei capi d’imputazione di violenza sessuale di primo grado e di stupro di terzo grado (ma lo ha assolto dall’accusa di aggressione sessuale predatoria, che avrebbe introdotto la possibilità dell’ergastolo), il giudice Jason Burke ha infatti revocato gli arresti domiciliari di Weinstein e, per l’ennesima volta, rifiutato la mozione della difesa di invalidare il processo. Per il fondatore della Miramax, un tempo uno degli uomini più temuti di Hollywood, il verdetto della giuria -raggiunto in tempi relativamente brevi (circa 26 ore) e senza grosse controversie – apre la prospettiva di un soggiorno in prigione della durata tra i cinque i venticinque anni.

TRA I PRIMI a cantare vittoria, in una conferenza stampa tenutasi immediatamente dopo il verdetto, è stato il procuratore distrettuale Cyrus Vance jr., sul cui ufficio pesava la critica di avere preso sotto gamba denunce di molestia sessuale sporte negli anni, non solo contro Weinstein. «Weinstein è un predatore sessuale maligno, che ha usato il suo potere per ingannare, assaltare e umiliare le sue vittime. Alle due ’sopravvissute’ devo e dobbiamo tutti un debito immenso», ha detto Vance ai giornalisti. «Nonostante il verdetto di oggi disappunti perché non riconosce alle vittime tutta la giustizia che spetta loro, Weinstein sarà per sempre riconosciuto come un predatore sessuale seriale condannato per i suoi crimini» diceva una dichiarazione rilasciata dalle Silence Breakers, un gruppo di accusatrici del produttore.

«QUESTO processo e la decisione della giuria segnano l’inizio di una nuova era di giustizia non solo per le Silence Breakers -che hanno parlato correndo un grosso rischio – ma per tutti coloro che sono stati abusati o molestati sul posto di lavoro», ha dichiarato il presidente di Times’ Up Tina Tchen. «Spero che le manette siano strettissime» ha scritto – nell’infuriare di tweet che hanno seguito l’annuncio- Gretchen Carlson, ex conduttrice di Fox News, le cui accuse hanno messo fine alla carriera di Roger Ailes.