Per ora siamo ad una semplice «linea di policy» con tre opzioni sul tavolo. Senza numeri, aliquote e tempi di implementazione. E la promessa è quella di mettere a punto una proposta legislativa entro la prossima primavera.
La Web tax europea muove i suoi primi passi più sul fronte politico che su quello di merito. Ieri è arrivato un impegno da parte del vicepresidente della commisione europea Valdis Dombrovskis: «L’Unione europea deve prepararsi ad agire in assenza di un adeguato accordo globale». Leggasi: anche senza Stati Uniti.
Una frase che è bastata a mandare in fibrillazione sia Business Europe – la Confindustria europea che avverte come «ogni misura di tassazione deve rispettare i principi globali per proteggere la competitività delle imprese» – che l’associazione delle imprese del web – la Acca che agita «il rischio di creare una doppia tassazione». Tornando al merito, per aggirare il principio di «non stabile organizzazione» sfruttato dai vari Amazon, Google, Facebook per pagare le tasse nei paradisi fiscali di Lussemburgo e Irlanda, la commissione Ue punta – come prima ipotesi – ad un’imposta sul fatturato delle società digitali, come seconda ad una trattenuta alla fonte sulle transazioni e, come terza ed ultima, ad una tassa sui redditi generati dalla fornitura di servizi digitali o sulle attività pubblicitarie.
La vera rivoluzione – vista come il diavolo dalle imprese – sarebbe l’idea di un’imposta sul giro d’affari e non più sui profitti. In questo caso l’aliquota dovrà essere inevitabilmente bassa: si parla di una forchetta che va dall’1 al 6 per cento.
La Commissione ieri ha fornito i dati sulla tassazione attuale: le imprese tradizionali pagano tra il 20,9 e il 23,4 per cento; per le aziende digitali dall’8,5 al 10,1 per cento. Il tutto grazie al fatto che i loro «asset intangibili» sono «altamente mobili», spiega la Commissione.
L’altra piccola svolta ipotizzata da Dombrovskis riguarda la possibilità di superare la necessità dell’unanimità fra i 28 governi europei per dare il via libera alla proposta di web tax. «Al momento basiamo la nostra proposta sulla previsione dell’unanimità, la decisione di spostarci sull’utilizzo del voto a maggioranza sulle questioni di tassazione è più generale». La possibilità è contenuta in una norma poco conosciuta dei trattati europei: per questioni di «distorsioni del mercato» si può superare il potere di veto. Ma che questo espediente sia utilizzato per colpire i giganti americani del web è ancora assai improbabile.