“Trattati come cavie”! E’ arrabbiato, Wayne Rooney, costretto come molti colleghi britannici a giocare anche ai tempi del coronavirus, mentre altrove i campionati si fermano, le frontiere si chiudono, le città si svuotano. Ma non nella Gran Bretagna di Boris Johnson, che spera nell’effetto gregge e tarda a imboccare la strada delle serrate che mezza Europa ha già infilato.

E l’ex superstar del Manchester United sceglie, per sfogarsi, il suo esordio come editorialista del Sunday Times: l’edizione domenicale del prestigioso quotidiano inglese gli ha affidato una colonna settimanale, e la prima è dedicata proprio al calcio ai tempi del Covid-19. “Il calcio deve arrivare secondo”, scrive il leggendario attaccante britannico, oggi capitano-allenatore del Derby County nella serie B inglese – “è uno sport, solo uno sport, quando le vite umane sono a rischio devono arrivare prima”. “Perché aspettare fino a venerdì? Perché ci vuole la positività di Mikel Arteta (il tecnico dell’Arsenal, ndr) per fare la cosa giusta?”

Il capocannoniere di tutti i tempi della nazionale inglese racconta che al Derby County durante l’allenamento di giovedì tutti guardavano la televisione aspettando Boris Johnson.

In mattinata era arrivata la notizie che tre giocatori del Leicester erano infetti, e il Derby doveva giocare a Millwall, il cui proprietario era risultato positivo al virus… Ma alle due del pomeriggio, quando l’allenamento era finito, il premier britannico non aveva ancora aperto bocca. Lo avrebbe fatto tre ore dopo, per comunicare che le scuole restavano aperte e lo sport, beh, “decideremo più tardi”.

Più tardi? “Se qualcuno dei miei familiari dovesse essere infettato da me perché dovevo giocare, e magari ammalarsi seriamente, avrei pensato seriamente di non giocare mai più. Non avrei mai perdonato le autorità. Io sono solo un giocatore tra migliaia, ma scommetto che molti la pensano come me”.

Non stringete la mano agli altri giocatori, non fate selfies con i tifosi… Tutto qui? “Non avrà qualcosa a che fare con i soldi coinvolti in tutto questo?”. Diritti tv per 5 miliardi di sterline nella Premier League, che poi devolve 1 milione di sterline a ogni club di serie B e serie C: sono 47 milioni di sterline per chi non fa parte della grande torta principale: “Niente, per i grandi club, ma sapete come sono quando si tratta di farsi uscire dei soldi…”.

Curiosamente, i commenti dei lettori del Sunday Times sono tutti violentemente anti-Rooney, e tutti o quasi permeati dalla retorica dell’”andate a lavorare anche voi, ricchi mocciosi viziati”.

La stessa diffidenza che coinvolge anche il calcio italiano, fermo già da un po’.

Cristiano Ronaldo è in quarantena nella sua megavilla a picco sul mare vicino a Funchal, nell’isola portoghese di Madeira, con due piscine, palestra e campo da calcio e altre amenità: difficile solidarizzare, per un terrestre normale.

Il calcio europeo fa i conti con perdite siderali. Euro 2020 vale da solo 2,2 miliardi di euro, Champions EuropaLeague e Supercoppa valgono 3,3 miliardi (di cui 1,4 ai club), e si parla di rinviare tutto quanto.

Le pay tv sono blindate dal codice civile e non hanno alcun obbligo di rimborsare gli spettatori per le partite mancate (ma se per Dazn e Now Tv è abbastanza rapido disdire l’abbonamento, Sky starebbe pensando a qualche forma di indennizzo, comunque non in denaro).

La serie A italiana si incontra lunedì 16 marzo in assemblea di Lega per decidere come concludere il campionato in corso, si stimano perdite tra i 430 e i 700 milioni di euro tra biglietti e merchandise invenduti, si parla di una raffica di partite in aprile oppure di introdurre playoff e playout anticipati.

E mentre lievitano i numeri dei calciatori italiani positivi al Covid-19 (ai sette già noti si sono aggiunti De Paoli e Bereszinsky della Samp e Cutrone e Pezzella della Fiorentina), si infiamma anche l’Associazione italiana calciatori guidata da Damiano Tommasi, con un durissimo comunicato che attacca le società di serie A che continuano a convocare in sede i giocatori, anche solo per controllargli la temperatura.

Probabilmente sperando di farsi dire di no: “Se la convocazione è volta a ottenere un rifiuto dai calciatori per poi procedere con la decurtazione degli emolumenti, significa che stiamo raschiando il fondo del barile. Tradotto, oggi in Italia ci sono ancora società calcistiche che o sono vergognosamente irresponsabili, o vivono su Marte o sono prive di un minimo di dignità”.