Visioni

Wayne McGregor, il delirio dei corpi racconta il presente

Wayne McGregor, il delirio dei corpi racconta il presenteN. Manni e T. Andrijashenko in «LORE» – foto Brescia e Amisano/La Scala

A teatro Il grande coreografo rivisita alla Scala due titoli chiave dei balletti russi che ribattezza «AfteRite» e «LORE»

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 2 luglio 2022

Far precipitare i corpi dentro il ritmo selvaggio, primordiale de Le Sacre du Printemps di Igor’ Stravinskij, riversando nella danza la violenza e il dolore di un rito sacrificale legato ai drammi ambientali del nostro tempo; riscrivere con un linguaggio fisico multicentrico, sbalorditivo nel raccontarci l’oggi senza cadere nella didascalia, Les Noces, sempre di Stravinskij.

È l’approccio travolgente con cui Wayne McGregor, coreografo inglese tra i maggiori del nostro tempo, direttore dall’anno scorso della Biennale Danza di Venezia (festival dal 22 luglio), rivisita fino al 7 luglio al Teatro alla Scala due titoli chiave dei Balletti Russi di Diaghilev: Le Sacre, clamoroso, contestato balletto coreografato da Vaslav Nijinskij nel 1913, e Les Noces, di Bronislava Nijinska, sorella di Vaslav, scene coreografiche russe con canto e musica, del 1923. Opere culto della rivoluzione dei linguaggi della danza e della musica di primo Novecento che McGregor ribattezza AfteRite e LORE. AfteRite, un rito posteriore a tutti i riti che si sono incisi nella nostra retina, spettacolo creato nel 2018 per l’American Ballet Theatre, interprete principale allora come ora Alessandra Ferri, LORE, termine inglese con cui pensare alla simultaneità in scena di tradizioni del presente e del passato. AfteRite è una prima per i danzatori della Scala, LORE una creazione mondiale nata sul loro talento.

La partitura di Stravinskij si introietta nei corpi dei danzatori scaligeri, sempre più all’altezza del linguaggio di McGregor, con i suoi impulsi ritmici, portando la danza sull’orlo di un precipizio sonoro, fisico e ambientale.

ORCHESTRA diretta da Koen Kessels, AfteRite trasporta Le Sacre in un paesaggio arido rubato al deserto di Atacama dove Pinochet rinchiudeva e torturava i prigionieri politici del suo regime. Il ruolo tradizionale dell’Eletta è stravolto con potenza nella parte di una madre, Alessandra Ferri: deve scegliere quale delle sue due figlie sacrificare dentro una serra idroponica che la asfissierà perché il deserto riprenda a germogliare. McGregor ha come fonte di ispirazione uno dei testi miliari dell’ambientalismo, Primavera silenziosa di Rachel Carson, libro d’accusa del 1962 sull’uso dei pesticidi e sulla manipolazione che l’uomo compie sulla natura.

LA PARTITURA di Stravinskij si introietta nei corpi dei danzatori scaligeri, sempre più all’altezza del linguaggio di McGregor, con i suoi impulsi ritmici, portando la danza sull’orlo di un precipizio sonoro, fisico e ambientale. Il dolore, la forza, il tentativo di spezzare un rito agghiacciante di morte e sacrificio, trova in Ferri espressione non attraverso una accentuazione descrittiva delle emozioni, ma nella qualità fisica delle dinamiche musicali del movimento. Un’artista superlativa in lotta contro una umanità disposta a tutto pur di soggiogare la natura, simbolo prepotente dell’ottusità suicida del mondo. Lo suggerisce l’immagine del gruppo che con un movimento a serpente del corpo si inginocchia verso la serra sacrificale, ma soprattutto la danza dell’Eletta che McGregor trasforma in un passo a due di rivolta tra Ferri/Madre e il primo ballerino Nicola Del Freo, una delle figure guida della tribù. Uno spettacolo dal respiro corale che esalta tra gli interpreti oltre a Del Freo i primi ballerini Claudio Coviello, Marco Agostino, Martina Arduino e Virna Toppi con Maria Celeste Losa e Caterina Bianchi.

Una scena da AfterRite, foto Brescia & Amisano/La Scala

LORE è concepito in continuità con AfteRite. Inizia con l’apparizione della bimba che si è salvata: sono passati dieci anni (come tra il debutto delle due partiture), la bimba è sostituita da una donna, la prima ballerina Nicoletta Manni, strepitosa nel graffio stilistico di McGregor accanto al primo ballerino Timofej Andrijiashenko e a Alice Mariani, Agnese Di Clemente, Domenico Di Cristo. La partitura per quattro pianoforti, percussioni, coro e cantanti solisti di Stravinskij arriva alla platea come una ferita, un urlo, mentre in un pannello in alto si proiettano con voluti salti di immagine paesaggi industriali e inquietanti, gigantesche parabole. La tecnica classico-accademica si snoda in vorace velocità e infinitesimali dettagli facendosi linguaggio contemporaneo con linee a spirale che scorrono tra gambe, bacino, torso e spalle.

IN SCENA miriadi di riti simultanei, luminosi nella fluidità di genere che chiude il balletto. Una visione rizomatica del divenire in cui però non tutto è segno di libertà. Sugli accenti più violenti delle percussioni, restano impresse le sei coppie incappucciate e i loro taglienti movimenti di braccia. Ci potremmo rifugiare nel ricordo delle punte battute al suolo come lame delle ballerine della Nijinska nel ‘23, ma le immagini quotidiane di armi sguainate, violenze e soprusi suggeriscono tragicamente altre associazioni. Uno spettacolo che dai Balletti Russi eredita la ricchezza del rapporto tra le arti e in cui vibra, con le sue tragedie e speranze, la società contemporanea. Drammaturgia di Uzma Hameed, film design di Ravi Deprees, scene e costumi di Vicki Mortimer, danzatori in alternanza nei due cast dello spettacolo.

 

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