Cari burattinai dei media, nella grande tradizione del giornalismo americano proverò, per quanto pretenzioso possa suonare, a dire la verità ai potenti. Di solito questo significa dire le cose come stanno a politici, finanzieri e uomini d’affari che dominano la nostra società. Ma oggi, sempre di più, significa dire la verità alle persone che possiedono, controllano e gestiscono il giornalismo.

All’apice di questa follia americana senza precedenti, quando il candidato di un grande partito si è dimostrato inadatto non solo per qualsiasi carica pubblica, ma corrotto in ogni aspetto della sua vita. Oggi, quando «sei licenziato» è la frase chiave che ha lanciato Trump nella politica nazionale e verso la Casa bianca, in questo momento così critico per la nostra democrazia, i media dell’establishment stanno licenziando migliaia di persone.

IN TUTTA LA MIA VITA, i media non sono mai stati così nel caos. Mi chiedo se tutta questa devastazione sia necessaria. E vi scrivo per chiedervi di considerare quali sono state e quali saranno le conseguenze delle vostre azioni. (…)

Soltanto pochi anni fa confessai al caporedattore di un certo quotidiano quanto fossi felice ed emozionato che un saggio che avevo scritto apparisse sulla prima pagina della sua sezione. Lui scrollò le spalle: «Come se qualcuno sapesse ancora dov’è la copertina di una sezione».

Bene, facciamo due hip-hip-urrà a tutte le nuove piattaforme, telefonini, tablet e strumenti di distribuzione delle notizie, ma immaginatevi solo per un istante la pubblicazione dei «Pentagon Papers» spalmata, o meglio, frantumata, sui cinque centimetri del vostro smartphone, per di più mentre state messaggiando, instagrammando, aggiornando facebook e controllando le email.

[do action=”citazione”]Immaginatevi solo per un attimo l’uscita dei «Pentagon Papers» frantumata sui cinque centimetri del vostro smartphone tra sms, e-mail e post su facebook[/do]

HO PAURA che mentre voi editori flirtate pericolosamente con l’idea di riempire le vostre pagine virtuali di video e articoli di costume, vi sentiate sulla strada di salvare il vostro giornale nell’esatto momento in cui distruggete ciò che lo rende un giornale.
Già li vedo alcuni di voi, giornalisti inclusi, che rovesciano gli occhi mentre leggono il piagnisteo di questo broccolo che non capisce contro cosa state lottando.

Ma io penso di saperlo. Siete tormentati allo spasimo mentre con un piede galoppate sul cavallo delle vostre testate, che cercate di mantenere ai più elevati standard di veridicità e integrità, e con l’altro piede tallonate ai fianchi il cavallo del commercio, con cui provate a mantenere in vita i vostri giornali. Comprendo che, ai vostri occhi, obiezioni morali e sguardi al passato come lezioni per il futuro sono cose per nostalgici e ingenui.

Ma naturalmente un grande giornale non è solo un’istituzione. L’ascesa dei giornali è avvenuta in parallelo a quella della democrazia moderna. Non c’era una «Gazzetta carolingia» nell’anno 758. Nessuno frustava i cavalli per correre in edicola dopo l’ultima battaglia della guerra dei Cent’Anni.

Ma mentre l’illuminismo cresceva e le dinastie reali cadevano, mentre le economie mercantili facevano strada all’industria, mentre la monarchia veniva sostituita con la democrazia partecipativa, il giornalismo moderno si è evoluto nel più potente strumento di controllo di tutte le forze sociali, politiche ed economiche che la democrazia liberava e che rappresentavano un pericolo per la democrazia stessa.

COS’È SUCCESSO IN AMERICA mentre questo cambiamento dei media è andato avanti? La guerra in Iraq. Gli sgravi fiscali di Bush che hanno reso quella stessa guerra una catastrofe economica oltre che umana. Lo sdoganamento dell’estremismo di destra nelle istituzioni. La concentrazione di una quantità di ricchezza stupefacente in un numero piccolissimo di persone, in proporzioni tali che questo paese non ha mai visto. La decimazione lenta e costante di tutti gli spazi pubblici. Una frattura razziale sempre più larga. La sottomissione brutale di ogni aspetto della vita alle leggi del mercato. Una volgarizzazione della cultura di massa che normalizza qualsiasi comportamento predatorio – commerciale, finanziario e anche sessuale – anche se viene raccontato e condannato.

COME TUTTI I GIORNALISTI, ho fatto il callo alle stronzate. Se siete in preda al panico di fronte a questa nuova era allora non vi ci state adattando. Se pensate di accumulare abbastanza lettori giovani abituati a vagare da una fonte di notizie all’altra più che fidarsi di una testata seria, allora ingannate voi stessi. Se pensate di salvare la vostra industria licenziando tutte le persone che l’hanno resa competitiva rispetto alle altre, state in realtà offrendo ai vostri lettori un motivo in più per smettere di leggere le vostre prestigiose pubblicazioni.

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Oakland, California, la redazione del giornale «The Star Ledger»

 

L’idea che solo i giornalisti formati nella nuova era digitale possono sopravvivere, così popolare tra i manager di mezza età che vivono nel terrore dell’era digitale, è un insulto all’intelligenza e all’ambizione dei giovani giornalisti, che hanno fame di usare le tecniche del giornalismo digitale per mettere in pratica quei valori del giornalismo tradizionale che li hanno ispirati a entrare nella professione.

Queste persone sono ispirate dalla portata e dalla potenza e dall’immediatezza del digitale per allargare i parametri dei valori del giornalismo tradizionale. Non sono certo le persone intimidite o spaventate dalla cultura digitale quelle che vogliono annullare il giornalismo.

La verità è che questi giovani – e meno costosi – giornalisti arrivano in redazioni devastate dai piani di crisi e dai licenziamenti, in un ambiente terremotato, senza alleati più anziani né mentori, messi alla prova con l’unico imperativo di «fare cose da giovani», quando quello che vogliono davvero è soltanto fare del buon giornalismo che non guardi in faccia a nessuno.

Questi stessi giovani reporter, qualora non soddisfino le aspettative dei loro padroni di mezza età, diventano risorse spendibili, che per loro è la cosa peggiore, perché di solito vivono in circostanze molto più precarie dei giornalisti più anziani che sono stati scaricati prima di loro.

CARI BURATTINAI DEI MEDIA, forse l’unico modo per salvare testate che rappresentano un patrimonio dell’editoria («legacy media», ndt) – le uniche dotate di autorità e prestigio tali da poter servire come controllo democratico di forze non democratiche – è uscire del tutto dal campo del business e della borsa (per affidarsi alla filantropia e al non profit, ndr).

Perché, sia detto con tutto il rispetto, non sembra proprio che finora le vostre strategie industriali stiano avendo un grande successo. Nessuno scommette sui vostri bilanci. Le vostre semestrali non hanno alcun senso. (…)

[do action=”citazione”]E nel frattempo, come tanti Rasputin, i manager del marketing continuano i loro mistici sermoni su piattaforme mobili, streaming e algoritmi[/do]

E nel frattempo, come tanti Rasputin, i manager del marketing continuano i loro mistici sermoni su piattaforme mobili, streaming e algoritmi, tutti concetti e terminologie che scatenano il terrore nei cuori della gente dei giornali, cresciuta in un’era precedente e che è disposta a credere a tutto perché si trova ormai in un pianeta sconosciuto, senza indicazioni familiari per orientarsi. (…)

Persone in carne e ossa vengono sacrificate per innovazioni che devono ancora dimostrare di essere tali, innovazioni che in molti casi non hanno pagato né rispettato le premesse.

Dipendo così tanto dal New York Times che, dio non voglia, se un abbonamento dovesse arrivare a costare mille dollari l’anno farei un mutuo per potermelo permettere.

Perché il «Times», la mia pubblicazione preferita, è così distinto, così prestigioso, così bravo in quello che fa, che potrebbe (…) salvare i propri reporter e rimanere uno dei capisaldi fondamentali della nostra democrazia.

Ma io sono un sognatore, un freelance sacrificabile, vi sembro una formica se mi guardate sul marciapiede dai vostri uffici al centesimo piano. Mentre agito il mio pugno impotente verso di voi, e protesto per il modo frenetico e incessante in cui state distruggendo la vostra autorità e il vostro stesso prestigio.

Nulla impedirà alla mannaia di calare. Lo so. E forse quello che dite funzionerà e camminerete serenamente verso un futuro che cambia così rapidamente. Ma a quale prezzo?

LA MIA PAURA è il titolo che proclamerà la vostra vittoria: «I media sopravvivono! Buone notizie per i poteri disonesti, abusivi e venali. Cattive notizie per tutti gli altri».

Saggio tratto dalla «Columbia Journalism Review» del 4 novembre 2016. Traduzione dall’inglese di Matteo Bartocci