Il primo venerdì dopo la settimana di proteste popolari in Iran ha visto tornare in piazza i sostenitori del governo. Per il terzo giorno consecutivo le città teatro delle manifestazioni contro disoccupazione e carovita, hanno lasciato spazio ai pro-governativi: in 40 città iraniane, dopo la tradizionale preghiera del venerdì, decine di migliaia di persone hanno preso parte a sit-in di massa, da Teheran a Kerman.

I vertici politici e religiosi spostano intanto l’attenzione su potenziali complotti stranieri, consapevoli – Rouhani in testa – che le richieste delle classi più povere sono sintomo di un più ampio senso di alienazione. Molto più pericoloso per la tenuta del paese – non del suo «regime», come dicono gli Stati uniti – delle spie della Cia.

Ma la parte del leone la fanno comunque gli Usa, con Trump che non aspettava altro per cavalcare l’onda anti-iraniana: ieri il segretario al Tesoro Mnuchin ha annunciato l’introduzione di nuove sanzioni verso cinque aziende iraniane, sussidiarie dello Shahid Bakeri Industrial Group, legate al sistema missilistico della Repubblica Islamica.

La giustificazione la dà lo stesso Mnuchin: «Queste sanzioni colpiscono entità coinvolte nel programma balistico, a cui il regime dà priorità rispetto al benessere del suo popolo».

Un ragionamento che però non trova applicazione alle armi vendute all’Egitto da 20 milioni di poveri o all’Arabia saudita che affama lo Yemen. Non vale nemmeno in casa Usa: il travel ban di Trump include quel popolo iraniano che in questi giorni dice di sostenere (seppur «a tempo debito»), mentre la stessa amministrazione accende le tensioni infiammando lo scontro tra iraniani, sauditi e israeliani.

E Washington entra a gamba tesa anche al Palazzo di Vetro: mentre scriviamo il Consiglio di Sicurezza Onu è riunito su richiesta Usa per discutere delle proteste. Incontro interlocutorio e dall’esito incerto viste la difficoltà di Trump a trovare 9 membri su 15 disposti a procedere e la contrarietà russa a interferire negli affari di Teheran (con il vice ministro degli esteri Ryabkov che la invita ad «affrontare le azioni ostili degli Usa»).

Mosca ha chiesto e ottenuto di svolgere una pre-consultazione a porte chiuse ma non ha chiesto, come si pensava, un voto per decidere se l’Iran andasse o meno messo in agenda