Cambiano le stagioni e i governi, ma l’Italia resta quel che era. Un Paese di «bravi ragazzi». Invece del do ut des, tra Usa e Italia c’è il«do ut Tap»: ovvero Washington ci esenta per sei mesi dalle sanzioni all’Iran sul petrolio e appoggia la tribolata conferenza di Palermo sulla Libia il 12 novembre in cambio di una serie di favori: la realizzazione del controverso gasdotto, con l’approdo pugliese di Melendugno, per aggirare in piccola parte le forniture russe all’Europa; l’acquisto dei costosi F-35; e infine la realizzazione del Muos a Niscemi (Sicilia), un sistema militare per comunicazioni satellitari sotto la gestione del Dipartimento della difesa Usa. Visto che sono cose che gli americani chiedono da quando alla Casa bianca c’era ancora Obama, anche la mezza vittoria dei democratici al Congresso cambia poco, per ora.

Come diceva Frank Zappa: «La politica in Usa è la sezione di intrattenimento dell’apparato militare-industriale». Il resto sono chiacchiere. In Italia siamo il volonteroso prolungamento del sistema americano. Si certifica così una – prevedibile – tendenza, la svolta atlantista del governo giallo-verde: non c’è niente di meglio che fare i sovranisti duri e puri con Bruxelles per poi piegarsi come un giunco al grande protettore di sempre facendo anche la figura degli indipendenti. In realtà stiamo di nuovo consegnando pezzi di sovranità agli americani secondo un copione che, con rare eccezioni, dura dalla fine della seconda guerra mondiale. Ma soprattutto non è detto che in questo gioco di scambio all’Italia possano venire quei vantaggi diplomatici ed economici che qualcuno vagheggia. Il Tap, che pure diversifica con il gas dell’Azerbaijan i fornitori dell’Italia, avrà per almeno un paio d’anni una portata assai limitata e non si configura al momento come un’alternativa alla Russia e all’Algeria, i nostri due maggiori fornitori.

Anzi il premier Conte è stato ad Algeri oltre che per assicurare la presenza del premier Ahmed Ouyahia a Palermo anche per capire fino a che punto l’Algeria ridurrà le proprie esportazioni energetiche attraverso il Transmed. Non vorremmo che la prossima mossa sia acquistare gas liquido degli americani, che costa circa il 20% in più, come è toccato fare ad Angela Merkel per ottenere il via libera Usa al raddoppio del North Stream, la pipeline con la Russia. Gli americani, repubblicani o democratici, non danno niente per niente.

Quali però le ragioni profonde della mossa di Trump? In generale, gli Usa hanno esentato i paesi importatori di petrolio da Teheran, fra cui Cina, India, Turchia e Giappone, per evitare uno shock sui prezzi petroliferi a ridosso del voto di midterm. Ma dobbiamo ancora capire quale parte del business italiano sarà interessato dalle esenzioni con l’Iran, come sottolinea la vicepresidente di Confindustria Licia Mattioli.

Neppure i padroni in Italia si fidano degli Stati Uniti: in ballo ci sono circa due miliardi di euro di export verso l’Iran delle piccole e medie imprese, senza contare i 30 miliardi di contratti firmati con la repubblica islamica nel settore delle opere pubbliche. Più o meno il valore di una finanziaria che le sanzioni Usa cancellano dai nostri bilanci. Fare i bravi ragazzi costa caro perché il boss americano per compiacere i suoi alleati israeliani e sauditi, cioè i maggiori nemici di Teheran, fa pagare il conto agli italiani e agli europei in cambio di qualche commessa militare a Riad e a Tel Aviv.

L’Italia è l’unico grande paese dell’Ue ad essere governato da una maggioranza «sovranista» in sintonia per molti aspetti con Trump, come ha accennato anche il vicepremier Luigi Di Maio in una intervista al Financial Times. In poche parole gli americani ci stanno usando per incrinare l’Unione e noi accettiamo per un piatto di lenticchie e rinunciando alla nostra sovranità.