La missione di peacekeeping e interposizione dell’Onu al confine tra Libano e Israele è «cieca» dinanzi al «traffico di armi» diretto al movimento sciita libanese Hezbollah. È stato durissimo l’ultimo attacco al contingente Unifil scagliato da Nikki Haley, l’ambasciatrice Usa all’Onu. Rivolgendosi con tono offensivo al comandante della missione, generale Michael Beary, Haley è tornata a chiedere modifiche profonde al mandato di Unifil. «Sembra che (Beary) sia l’unica persona cieca di fronte a ciò che sta facendo Hezbollah, ha dimostrato una imbarazzante mancanza di comprensione di ciò che accade intorno», ha proclamato l’altro giorno raccogliendo l’approvazione della delegazione diplomatica israeliana alle Nazioni Unite.

Haley si è data il compito di «riequilibrare» l’atteggiamento dell’Onu che, a suo giudizio, sarebbe schierata contro Israele. Ora l’ambasciatrice entra a gamba tesa nella partita sul rinnovo del mandato dell’Unifil in scadenza a fine mese. Per anni questo appuntamento periodico è stato una formalità. Ora con Trump alla Casa Bianca e la tensione in aumento tra Israele e Hezbollah, la questione è diventata motivo di scontro tra i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. «Non possiamo farla passare liscia ai terroristi», ripete Haley ossessivamente. Per la vice ambasciatrice francese Anne Gueguen invece «È di fondamentale importanza per la stabilità del Libano e della regione, e nel migliore interesse di tutti, che Unifil mantenga il mandato (attuale)». Dello stesso avviso l’ambasciatore russo all’Onu, Vassily Nebenzia. Da parte sua il generale Beary ha smentito totalmente le accuse di Washington, sostenendo che non esistono prove del trasferimento illegale di armi nel Libano meridionale, dove Hezbollah ha la sua roccaforte.

Francia e Russia si oppongono, per ora, alle pressioni di Stati Uniti e Israele ma la partita resta aperta. Domani il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres comincia a Tel Aviv la sua prima visita nello Stato ebraico e discuterà anche dell’Unifil con il premier Netanyahu. Non si può fare a meno di notare il silenzio del Presidente del Consiglio Gentiloni e del ministro degli esteri Alfano. Con mille soldati su 10.520 il nostro Paese è parte fondamentale dell’Unifil e negli anni passati ha svolto un ruolo di primo piano nel Libano del sud. Ora non difende l’Unifil e, se è vero che chi tace acconsente, di fatto approva le pressioni israeliane e americane per una modifica del mandato della missione dell’Onu con tutti i pesanti rischi che ciò comporterebbe.

Unifil fu istituita nel 1978 per monitorare il primo ritiro dell’esercito israeliano dal Libano meridionale. Nel 2006, sulla base della risoluzione Onu 1701 che mise fine al conflitto tra Israele e Hezbollah, ha visto il suo compito allargarsi alla interposizione tra Libano e Israele, alla lotta al traffico di armi e al pattugliamento delle coste libanesi. In 11 anni di attività il confine è rimasto tranquillo se si esclude qualche scontro isolato tra israeliani e combattenti di Hezbollah. «Non è facile comprendere l’obiettivo a breve e medio termine delle pressioni americane», dice al manifesto l’analista arabo Mouin Rabbani, «forse l’Amministrazione Trump vuole demolire l’immagine dell’Unifil agli occhi della comunità internazionale e descrivere la missione come parte del problema». In questo modo, aggiunge Rabbani, «una futura offensiva militare di Israele in Libano verrebbe vista come inevitabile a causa anche del presunto cattivo lavoro svolto da Unifil». In ogni caso, conclude Rabbani, «se queste pressioni porteranno alla fine della missione vedremo una nuova guerra al confine tra Libano e Israele».