Scappano a decine di migliaia dalla nuova avanzata dello Stato islamico a nord di Aleppo e si ammassano tra il confine con la Turchia e le linee del fronte in quella parte di Siria. Sono 165mila persone secondo i dati in possesso di Human Rights Watch (Hrw). Uomini, donne e bambini intrappolati davanti alla frontiera (quasi totalmente) chiusa da circa un anno per decisione di Ankara. È l’ennesimo esodo, l’ennesima tragedia di profughi e sfollati interni della Siria dove cinque anni di guerra hanno fatto circa 280mila morti e centinaia di migliaia di feriti. E la guerra, inutile farsi illusioni, potrebbe andare avanti ancora per anni. I segnali sono inequivocabili. Anche Staffan de Mistura sembra sul punto di gettare la spugna. L’inviato permanente dell’Onu per la Siria ha fatto sapere che i negoziati tra governo e opposizione – che include i jihadisti di Ahrar al Sham e Jayash al Islam, finanziati e armati rispettivamente da Turchia/Qatar e Arabia saudita – non riprenderanno per altre settimane. In ogni caso le trattative sino ad oggi non hanno fatto alcun passo in avanti a causa dei veti incrociati.

Il dramma di profughi e sfollati siriani, in patria, alle frontiere dell’Europa e nelle acque del Mediterraneo, è immenso. Per fortuna i media ne parlano ancora. Poco e male invece sono spiegati gli sviluppi dei combattimenti e ancora meno i disegni strategici delle potenze internazionali e regionali. In Siria è cominciata una fase decisiva per la strategia di Washington. Ha avuto inizio il cosiddetto “Piano B” messo a punto dagli Usa in caso di fallimento (di fatto già avvenuto) dei negoziati e del cessate il fuoco. Dietro la facciata della guerra all’Isis c’è la “nuova Siria”, la “transizione”, il dopo-Bashar Assad che per gli americani dovrà cominciare dal prossimo agosto, con o senza l’assenso del presidente siriano e dei suoi alleati russi e iraniani. Il “Piano B” attuato parallelamente a ciò che avviene sui tanti campi di battaglia nel nord della Siria.

In queste ore i mezzi d’informazione di mezzo mondo riportano i successi, in parte inattesi, dei miliziani dell’Isis che si sono avvicinati per la prima volta alla zona controllata dai curdi nel distretto di Afrin. Un’avanzata che avviene a scapito delle milizie arabe filo-turche, strette tra jihadisti e curdi attorno al distretto di Marea. Anche le milizie curde sono in allerta per l’offensiva dello Stato islamico a ridosso dell’area da loro controllata. Allo stesso tempo le forze curdo-arabe appoggiate dagli Usa – le cosiddette Forze democratiche siriane (Fds), una coalizione di cui fanno parte gruppi arabi e curdi dell’Ypg (organizzazione figlia del Pkk) – proseguono l’offensiva verso Raqqa, la “capitale” dell’Isis in Siria, e sono riuscite a prendere la cittadina di Ayn Issa e una decina tra villaggi e fattorie, grazie anche alla copertura aerea della Coalizione internazionale a guida Usa. Ma gli americani combattono anche sul terreno, con forze speciali che, come mostra una foto dell’Afp che ieri ha fatto il giro del mondo, indossano uniformi con le insegne dell’Ypg. Una immagine che ha fatto infuriare la Turchia che considera i combattenti curdi dell’Ypg “terroristi” come quelli del Pkk.

Washington non si farà fermare dalle urla di rabbia del leader turco Erdogan. L’Amministrazione Obama userà senza esitazione il sangue dei curdi – ai quali peraltro non ha permesso di partecipare ai negoziati per il veto di Ankara – perché ha un obiettivo: conquistare al più presto Raqqa, grazie soprattutto ai curdi, in una sorta di ripetizione della liberazione di Kobane (Ain al arab). Vuole dimostrare che la Russia con la sua aviazione e l’esercito siriano non sono determinanti per abbattere l’Isis – non a caso ha respinto al mittente la proposta di Mosca di unire le forze e combattere insieme – e, più di tutto, intende delimitare i territori nel nord e nell’ovest della Siria destinati all’autonomia (per ora) dei curdi e al controllo dell’opposizione siriana “moderata”. La presa di Raqqa e delle altre porzioni di Siria nelle mani dello Stato islamico è una scommessa che gli Usa non vogliono perdere. È vitale per presentarsi a un futuro tavolo delle trattative con un’ampia parte del Paese saldamente nelle mani delle forze “moderate” e di quelle jihadiste alleate. Senza dimenticare che gli Usa pensano con ogni probabilità di raggiungere dietro le quinte intese anti Assad anche con i qaedisti di al Nusra – proclamati quattro anni fa “terroristi” dagli americani – che controllano aree di eccezionale importanza tra Idlib e la zona a ridosso della costa sotto l’autorità di Damasco e sono una spina nel fianco delle forze armate governative.