C’è una poesia di Franco Buffoni, Vittorio Sereni ballava benissimo, che si chiude con un verso isolato ed ellittico, un periodo secco: «Ordinando per collane la propria libreria». Prima di questo gerundio, la poesia tratteggia un tipo d’uomo più simile a un ufficiale che a un poeta. Questione di compassata eleganza, «di nodo alla cravatta / E di piega data al pantalone», di atteggiamento «Autorevole e all’occorrenza duro / In famiglia e sul lavoro». In cauda, poi, il veleno che meglio lo dipinge uomo d’ordine, rivelandone conformità, bisogno di congruenza e assimilazione dei parametri editoriali che costituivano il lavoro di Sereni presso Mondadori. Non sono gli autori a contare, ma le collane che li riuniscono e li schierano; non la singola opera ma lo sguardo dall’alto, che Buffoni assimila alla severità paterna, a una prescrizione che allinea, sorveglia, conserva.
Se è vero che l’ordine dato alla biblioteca rivela il «paesaggio mentale» del suo proprietario, come scrive Roberto Calasso nel «piccolo Adelphi» Come ordinare una biblioteca (pp. 127, € 14,00), non sempre sistemare i libri per collane è segno d’indole autoritaria, come intende Buffoni. Allorché usato come criterio distributivo, il concetto di collana fa cogliere inclinazioni a colpo d’occhio: nel secondo dopoguerra, la «compatta aggregazione di dorsi rossi» immediatamente riconoscibili come «Saggi» Einaudi collocava i proprietari nella «sinistra illuminata», sia pure a dispetto di certi «paraocchi». Era un segnacolo, quell’aggregazione cromatica, «aveva un senso e uno stile». Chi scrive, qui, è l’intellettuale e l’editore, chi, come Calasso, ben sa quali coerenti e innovativi progetti culturali case editrici e collane possano realizzare. Ciò che caratterizza Come ordinare una biblioteca, saggio eponimo della raccolta, apparso come strenna nel 2018, è l’amore di Calasso tanto per il singolo libro quanto per le contiguità tra libri alle quali una biblioteca dà vita. L’amato libro è parte essenziale di un’ampia, erudita prospettiva nel segno di Aby Warburg e della sua straordinaria e vitale costruzione fondata sul principio, che Calasso definisce «regola aurea», del buon vicino. Del libro accanto a quello che cercavamo e che finiamo per prendere al suo posto, sorprendentemente più adatto e più utile alle nostre ricerche. Warburg, come ha ricordato Fritz Saxl, lo storico dell’arte suo collaboratore, «non si stancava mai di spostare libri e poi spostarli di nuovo. Ogni passo avanti nel suo sistema di pensiero, ogni nuova idea sulla interrelazione dei fatti lo induceva a raggruppare in altro modo i libri che vi erano coinvolti». Ordinare una biblioteca non significa dunque fissarla, stabilirne una volta per sempre i criteri di organizzazione, siano pure plurali e adatti a settori diversi – alfabetico, tematico, cronologico, linguistico –, significa piuttosto percepirne la vita e proteggerla, mantenerne il dinamismo, il respiro e l’osmosi, per usare figure semplici.
Come ordinare una biblioteca placa l’ansia di chi pretenderebbe, invano, trovare una soluzione, «perché una biblioteca è un organismo in perenne movimento. È un terreno vulcanico, dove sempre qualcosa sta succedendo, anche se non percepibile dall’esterno. “In queste regioni ogni ordine non è che uno stato di sospensione sopra l’abisso” (Benjamin)». Buoni, ottimi vicini, qui, Warburg e Benjamin, che pure nella vita non hanno avuto modo di incontrarsi di persona.
Se nel secondo saggio, l’inedito Gli anni delle riviste, Calasso rievoca con eleganza alcune testate – «Commerce», finanziata da Marguerite Caetani, e «La Révolution Surréaliste», legate da «una circolazione sottocutanea» –, assumendo una prospettiva storico-letteraria e critica che dispensa severi giudizi all’avanguardia di Breton; in Come ordinare una biblioteca ogni riflessione muove da un oggetto, da un ricordo personale o da un aneddoto. Ora è la vicinanza fisica e propizia, sulle bancarelle, tra libracci e tomi eruditi, ora Gabriel Naudé, cacciatore di libri per Mazzarino, che un contemporaneo descriveva coperto di polvere e ragnatele dopo una spedizione in «qualche tana di libraio»; ora l’importanza di studiare le prime edizioni ben dimostrata attraverso la descrizione della princeps, volume in-folio, del Dictionnaire historique et critique di Pierre Bayle, ora l’indole fabbrile e felice di Aldo Manuzio, desideroso soltanto di pubblicare buoni libri, «edendis bonis libris».
Questo scritto possiede una dote peculiare: la compresenza della misura (intesa come erudizione e saggezza) e della fascinazione, sia per i libri sia per la loro strutturale impossibilità a essere ordinati inflessibilmente.
Nel drammatico Un mondo migliore di Uwe Timm, un uomo mite e cólto, per sfuggire ai nazisti, vive per mesi nella cantina-magazzino di una libreria, insieme ai libri proibiti dal regime. Spostare i libri, annullare qualsiasi criterio d’ordine lo aiuta a resistere, a salvare loro e sé stesso. E a mettere in pratica un’idea politica di «decentralizzazione» trasmettendola tangibilmente a quei libri che voleva «preservare dalla cattura e dall’annientamento».