Era il 28 aprile del 2007 quando con il Decreto Turco si riconobbe in Italia l’efficacia terapeutica del Thc, il principio attivo più importante della cannabis, per il trattamento del dolore cronico. Esattamente quattordici anni dopo,

Il suo caso è tra i più conosciuti ma non è l’unico: da quando la cannabis terapeutica è legale migliaia di pazienti si sono scontrati con l’impossibilità di vedere il loro diritto alla salute rispettato. Chi s’interessa di questi temi, come l’Associazione Luca Coscioni e Meglio Legale, ogni giorno ascolta storie simili a quella di Walter, storie alle quali le nostre istituzioni devono rispondere con urgenza e non per compassione ma per rispettare la legalità costituzionale.

Walter De Benedetto affronterà l’udienza decisiva del processo che lo vede imputato ad Arezzo, per coltivazione di sostanza stupefacente in concorso, in condizioni di salute precaria. De Benedetto è assistito dagli avvocati Claudio Miglio e Lorenzo Simonetti che affermano senza mezzi termini che «non è un problema solo di Walter. Dal momento in cui la farmacia ospedaliera non procura al paziente la medicina per la quale ha una regolare prescrizione, lasciandolo di fatto senza terapia, il paziente è lasciato solo dallo Stato».

Uscendo dall’aula giudiziaria dove era arrivato in ambulanza, De Benedetto aveva dichiarato: «Mi assumo la mia responsabilità, questa è una battaglia in cui non ci sono solo io, credo nella giustizia e nella legge, mi sento a posto con la mia coscienza». Poco prima De Benedetto si era rivolto al Presidente della Repubblica chiedendo che fosse rispettato il suo diritto alle cure previsto dall’articolo 32 della Costituzione. Quell’Appello ha raccolto oltre 20.000 firme che, per conto di Walter, abbiamo consegnato di persone al Quirinale lo scorso 16 aprile.

In questa situazione tra il paradossale e l’illegale nei giorni scorsi tanti pazienti hanno deciso di raccontare la loro storia: Alfredo Ossino, ex maresciallo Capo della Guardia di Finanza in congedo a causa di un deficit-funzionale della colonna vertebrale, che denuncia i costi esorbitanti delle cure. Stefania Lavore, 40 anni, tecnico di laboratorio, affetta dalla malattia di Parkinson di origine genetica. Mara Ribera, che sottolinea come «il dolore non può essere parte integrante della vita delle persone». O il trentenne Carlo Monaco, affetto da anoressia nervosa, o Paolo Malvani che soffre di dolore neuropatico causato da un incidente stradale, o Rosario D’Errico la cui decisione di procedere con la coltivazione domestica, data l’assenza di terapia, l’ha portato ad avere problemi con la giustizia e un processo con conseguente perdita del lavoro. Donato Farina, trentunenne di Padova, ha dovuto supplire con gli antidolorifici le lungaggini della prescrizione medica. E altri continuano a scriverci.

Per cambiare la situazione ci sono alcune cose che si possono fare già oggi: autorizzare altri enti privati e pubblici a produrre cannabis terapeutica, visto che lo Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze che non è in grado di soddisfare il fabbisogno nazionale; informare e formare i medici, anche di famiglia, che già oggi possono prescrivere; mettere a carico del Servizio sanitario nazionale una terapia ancora troppo costosa, liberalizzarne l’importazione e cancellare il divieto di vendita per corrispondenza imposto alle farmacie. Lo chiede Walter a nome del diritto alla salute negato.