C’è un’altra partita, più silenziosa e forse per questo più infida, che si gioca da tempo tra Russia ed Europa. Su un fronte che è molto più caldo, almeno dal punto di vista climatico, di quello ucraino: quella partita si gioca molto più a sud, tra le sabbie africane del Sahara e del Sahel.

Anche se Mosca non lo ammetterà mai, migliaia di mercenari del gruppo russo Wagner, una società privata di sicurezza e addestramento militare («compagnia militare privata») di proprietà dell’oligarca Evgeny Prigozhin, ex cuoco di Putin, sono presenti in Africa da molto tempo e sono molto preziosi nella geostrategia russa, anche perché sono al momento molto più discreti delle 180mila truppe russe coinvolte nel conflitto in Ucraina.

Se di recente tutti guardano alla guerra della Russia all’Ucraina c’è forse un gioco strategico più grande, più intricato e molto più a lungo termine, un gioco che sopravviverà a Putin e che riguarda la nuova presenza russa in Africa, continente dalle grandi risorse naturali, minerarie ed energetiche, un gioco possibile proprio grazie al gruppo Wagner.

Facciamo ordine. Wagner è presente da anni in Repubblica Centrafricana, dove per qualche tempo ha anche garantito la sicurezza personale del presidente Touadera e dove Valery Zakharov, primo consulente del presidente centrafricano per la sicurezza nazionale, rappresenta la testa di ponte della strategia russa a Bangui. Una città dove, pochi mesi fa, è stata inaugurata una statua agli uomini della Wagner.

In realtà negli ultimi vent’anni il gruppo Wagner è comparso un po’ in tutto il continente: Sudan, Mozambico, Repubblica Centrafricana, Libia ma anche, più recentemente, in Mali e Burkina Faso. In quest’ultimo caso, durante le manifestazioni di Ouagadougou a sostegno dei golpisti che hanno rovesciato il presidente lo scorso 24 gennaio, si sono occupati anche di distribuire bandiere russe ai manifestanti.

In Mali invece il gruppo Wagner è la goccia che ha fatto traboccare il vaso delle relazioni tra Bamako e Parigi, deterioratesi velocemente dopo l’annuncio della giunta militare maliana di essersi messa in contatto con i mercenari russi per ricevere addestramento per le proprie forze armate. Un compito che in realtà spettava, fino a pochi giorni fa, alla missione francese in Mali, Barkhane, e a quella europea, Takuba, cacciate malamente dal Paese africano dopo la rottura con la Francia.

È proprio qui che si attua il grande gioco strategico africano, a lunghissimo termine, della Russia, che ha saputo intercettare il forte malcontento di governi e popolazioni: dal dispiegamento delle missioni europee, francesi e internazionali nel 2013, volte a sostenere i governi locali nella lotta al terrorismo, la situazione è andata precipitando e oggi è peggiore che mai.

Nel solo Burkina Faso, dal 2015 il terrorismo ha prodotto 1,5 milioni di sfollati interni più altri 7mila in Costa d’Avorio e sono più di mezzo milione gli studenti privati del diritto all’istruzione, con la chiusura di scuole e istituti. Questa situazione drammatica della sicurezza, non solo in Burkina Faso ma anche in Mali, rischia di aggravarsi ulteriormente nel tempo per via di due fattori: l’aumento delle temperature climatiche e l’aumento della popolazione.

Le missioni militari internazionali hanno trattato solo i sintomi della crisi del Sahel, il terrorismo. Mai le cause, i cambiamenti climatici (con gravi conseguenze su allevamento e agricoltura), la sovrappopolazione (e l’aumento di bocche da sfamare) e il malgoverno (con la corruzione, l’inefficienza e tutto il corollario di reati connessi all’esercizio del potere). L’incapacità europea e delle Nazioni unite di intervenire sui motivi più profondi, ambientali e sociali, della crisi saheliana ha creato le condizioni per il fallimento delle missioni internazionali, l’aumento della violenza da un lato e l’apertura all’uomo forte che tutto risolve, dall’altro.

La rottura tra Bamako e Parigi ha spalancato definitivamente le porte del Sahel a Mosca, con il gruppo Wagner a fare da ariete del Cremlino per usurpare un ruolo di influenza che dalla fine del colonialismo, in quell’area, era sempre stato francese. Un ruolo non sempre positivo, visto che la Francia ha una grande tradizione di sostegno alle giunte militari che prendono il potere con la forza in Africa.

Oggi quel ruolo è del gruppo Wagner, che è presentato come «una necessità» per ovviare alle mancanze europee e visto come la panacea di tutti i mali da un pezzo di popolazione. Qui entra in gioco la politica, perché i militari al potere in Mali sono isolati per effetto di sanzioni regionali ma sanno usare bene la carta Wagner per ingraziarsi il sostegno della popolazione.

Formalmente, tra l’altro, non c’è un accordo scritto tra Bamako e Wagner e tutto è quindi ancora possibile. E facilmente occultabile.

La situazione in Burkina Faso è più o meno simile, con qualche distinguo: a differenza dei due colpi di Stato degli ultimi due anni in Mali, i golpisti burkinabé di gennaio 2022 sembra siano stati attivamente sostenuti dal gruppo Wagner per prendere il controllo del Paese, una novità che non è un dettaglio e che aggiunge un tassello alla strategia russa nel Sahel.

Una strategia che in Libia, invece, è pienamente operativa: sarebbero almeno 7mila i mercenari russi che combattono tra le fila di Haftar, pochi chilometri a sud della Sicilia. Sappiamo anche che in Libia il gruppo Wagner è dotato di sistemi di difesa anti-aerea Pantsir S-1, aerei MiG-29, bombardieri tattici Su-24.

Se in Mali la Russia è riuscita a umiliare la Francia, in Libia è successa la stessa cosa con l’Italia e il Regno Unito e oggi che ci sono due governi in conflitto a Tripoli e un uomo forte a est sostenuto dai russi la situazione non pone a vantaggio dei primi.

Tradizionalmente la Russia non ha mai avuto grande influenza nel Sahel e nella costa mediterranea dell’Africa ma le cose stanno cambiando rapidamente: ora, con la sua massiccia presenza (militare e di influenza) e di fronte ai fallimenti occidentali, è in grado di influenzare i conflitti regionali e le loro conseguenze (profughi, investimenti, ricostruzione, approvvigionamento energetico).

Basti pensare al potere che ha la Turchia di Erdogan sull’Europa, con le reiterate minacce di aprire le frontiere ai profughi siriani e moltiplicarlo per molti milioni di persone in più, in un’area molto più vasta e critica dal punto di vista della sicurezza, dei cambiamenti climatici e in un periodo di tempo che potrebbe anche essere di decenni.

Lo scenario è quello in cui la Russia si ritaglia un grande potere negoziale con l’Europa, con la capacità di aprire e chiudere i rubinetti dei profughi a proprio piacimento e avere così ben più di una exit strategy dall’Ucraina.