A scorrere la lista dei nuovi deputati autonomici (regionali) di Vox, è chiaro che i primi a essere increduli del risultato siano loro stessi. A parte il capolista, un ex giudice di famiglia sospeso nel 2011 per abuso d’ufficio per aver modificato il regime di visita di un bambino senza nessun criterio, gli altri 11 neoeletti (4 donne) sono praticamente sconosciuti, fatte salve alcune sporadiche comparsate sui media e sui social. I classici candidati raccattati qua e là (molti ex militari) per riempire quella che doveva essere una lista di bandiera.

L’unica faccia riconoscibile di un partito nato solo cinque anni fa è quella del bellicoso segretario Santiago Abascal, 42 anni, sociologo, ex consigliere basco del Pp, con un pedigree di tutto rispetto: il nonno fu sindaco durante il franchismo e il padre un esponente del partito post franchista, Alianza Popular (da cui poi nacque l’attuale Pp). Lui stesso entrò nel Pp a 18 anni e ci rimase fino al 2013. Quell’anno alle europee Vox raccolse 250mila voti, 1,57% del totale: in Andalusia domenica ne ha raccolti 400mila.

A parte l’unità di Spagna (sottointeso: contro l’indipendentismo catalano), le idee che difende Vox passano per l’abolizione delle autonomie regionali, previste dalla costituzione – proprio ora che sono entrate nello scacchiere politico grazie alle elezioni regionali – a favore di una ricentralizzazione soprattutto in ambito educativo e sanitario; per l’abolizione della legge per la protezione delle donne contro la violenza machista, sopprimendo «gli organisti femministi radicali» e promovendo la creazione di un ministero per la «famiglia naturale»; ovviamente, no all’immigrazione, con criminalizzazione dei migranti (ma con un’apertura alle nazionalità che «condividono la lingue e importanti legami culturali con la Spagna»); protezione della tauromachia e della caccia e divieto per le scuole a impartire insegnamenti di educazione civica o sessuale senza il consenso dei genitori; abbassamento delle imposte con flat tax al 21%, lotta alla corruzione, e abolizione dell’indulto; chiusura delle moschee, lotta contro lo jiadismo, chiusura dello spazio Schengen, muro a Ceuta e Melilla, e naturalmente l’immancabile riconquista di Gibilterra. Il tutto passando per un «piano integrale di conoscenza, diffusione e protezione dell’identità nazionale e del contributo spagnolo alla civiltà e alla storia universale, con speciale enfasi alle gesta e alle imprese dei nostri eroi nazionali».

Nonostante questo, e gli appoggi internazionali (Marine Le Pen è stata fra i primi a congratularsi per i risultati di domenica) Abascal rifiuta l’etichetta di «ultra». Ma l’accento antifemminista, antiLgbt, antieuropeo, autoritario, xenofobo e confessionale collocano Vox nella linea già tristemente tracciata in Francia, Germania, Inghilterra, Ungheria, per non parlare dell’Italia. Non è un caso che Vox abbia acquistato visibilità contemporaneamente alla crisi catalana, per la quale la risposta è stata giudiziaria e repressiva e non politica, o quando il governo Sánchez ha detto di voler togliere i resti di Franco dal monumento nazionale. Mentre Abascal garantisce che saranno «determinanti» in tutta la Spagna, si guarda con timore alle elezioni municipali, regionali ed europee di maggio.