Le elezioni iraniane riservano spesso sorprese. Nel 2005 davamo per scontata la vittoria di Rafsanjani e invece ad accaparrarsi la poltrona di presidente della repubblica islamica era stato Ahmadinejad. Era stato eletto e, quattro anni dopo, riconfermato. Complici i brogli che avevamo messo fuori gioco i leader del movimento verde d’opposizione che restano agli arresti domiciliari.
Ora, a fronteggiarsi sono il moderato Hassan Rohani e il conservatore Ebrahim Raisi, un membro del clero con il turbante nero dei Seyed, i discendenti del profeta Maometto. Raisi è vicino al leader supremo che a marzo dello scorso anno lo aveva nominato custode del mausoleo dell’Imam Reza a Mashhad, nell’Iran nord-orientale, la cui fondazione ha un budget superiore al governo. Una nomina vista come la designazione dell’erede da parte di Khamenei che ha 77 anni e la cui salute è precaria.

Che la vittoria di Rohani non sia scontata è ovvio: gli effetti dell’accordo nucleare tardano a farsi sentire perché restano in vigore le sanzioni finanziare degli Stati Uniti (e le banche europee sono riluttanti a farsi coinvolgere nel business con l’Iran), il presidente americano Donald Trump ne ha dette di tutti i colori contro Tehran, ha inserito i cittadini della Repubblica islamica nel decreto contro i musulmani e – mentre gli iraniani vanno alle urne – si reca in Arabia Saudita e in Israele, che dell’Iran sono i peggiori nemici.

Se il voto non fosse in bilico non ci sarebbe stato bisogno che a sostenere Rohani fossero l’ex presidente riformatore Mohammad Khatami, il leader del movimento verde Mehdi Karrubi (seppur agli arresti domiciliari), il nipote dell’Ayatollah Khomeini e il primo vice-presidente Jahangir che ha ritirato la propria candidatura. A sostenere Rohani è anche Molana Abdolhamid, esponente del clero sunnita, perché il presidente in carica corteggia il voto delle minoranze come pure quello delle donne. Anche se queste ultime non possono dirsi soddisfatte del suo operato perché «molte organizzazioni femminili hanno subito una battuta di arresto per i controlli del governo e la fuga all’estero delle principali protagoniste, tant’è che le poche associazioni allo scoperto sono quelle del riformismo religioso, vicine a Rohani», osserva la studiosa Leila Karami, curatrice della raccolta di racconti Anche questa è Teheran, credetemi! (Schena editore).

Sul fronte conservatore, il sindaco di Tehran Ghalibaf ha fatto un passo indietro per non frammentare il voto della destra e favorire Raisi. Ma non è detto che coloro che avrebbero votato per lui – già capo della polizia, con un passato nei pasdaran – sosterranno Raisi che è un membro del clero con un torbido passato in magistratura.

Rohani e Raisi sono uomini di regime, a decidere le questioni importanti (politica estera e nucleare) è il leader supremo Khamenei. Che vinca l’uno o l’altra cambia poco, dicono in molti. Certo, cambia poco, ma se Rohani vince al primo colpo senza andare al ballottaggio i falchi gliela faranno pagare. E poiché le libertà personali sono uno dei suoi slogan, daranno avvio al solito giro di vite, anche nei confronti della stampa liberale.

Se fosse Raisi a ottenere la maggioranza, nel breve periodo aumenterebbero i sussidi ai ceti più bassi. Una politica economica di questo tenore avrebbe però serie ripercussioni nel medio e lungo periodo, perché salirebbero l’inflazione e il debito delle banche. Il nuovo governo cercherebbe di mettere in atto una maggiore segregazione dei sessi (già in atto nei comizi di Raisi a Teheran), limiterebbe le libertà per le donne e sul web. In politica estera, è prevedibile un confronto con gli Stati Uniti, Israele, l’Arabia Saudita e le altre monarchie sunnite del Golfo. Per esempio con una escalation del programma missilistico. Di conseguenza, l’Iran tornerebbe a essere isolato.
Certo è che l’affluenza alle urne sarà alta, così come i dibattiti elettorali sono stati accesi. Ad infiammare gli animi sono state le questioni economiche, con Rohani che ha attaccato il suo avversario per una gestione non del tutto etica del mausoleo di Mashhad e gli ha chiesto dove pensa di trovare i soldi per elargire sussidi, osservando che prelevarli dalla Banca centrale equivale a prendere i soldi da una tasca e a spostarli nell’altra.

Nemmeno a Rohani sono state risparmiate le critiche e, per esempio, in occasione del secondo dibattito televisivo il candidato conservatore Mostafa Mirsalim, già ministro alla Cultura, lo ha accusato di essersi dimostrato debole nel negoziare con l’Afghanistan l’accesso alle acque del fiume Helmand, oggetto di discussioni fin dal 1870. E non sono mancate le critiche dei moderati all’interventismo in Siria, su cui si è soffermato l’ex sindaco di Teheran Karbaschi in occasione di un comizio nella provincia di Isfahan. Comunque vada, queste elezioni saranno servite a mettere sul tavolo tutta una serie di questioni su cui gli iraniani si dimostrano attenti.