È un giorno di festa»: lo scrive Matteo Renzi su Facebook a metà giornata, dopo che il governo ha incassato la fiducia alla Camera con 369 sì, tra cui quelli dei verdiniani, e 193 no, e la legge sulle unioni civili marcia spedita verso l’approvazione finale, con il sì della maggioranza e Sel e l’astensione del M5S: 372 sì, 51 no, 99 astensioni. Votano a favore alcune esponenti storiche del centrodestra: Prestigiacomo, Carfagna, Polverini, De Girolamo, e non solo loro. Per una volta il trionfalista di professione non esagera. Il clima, nel Palazzo e fuori, è davvero festoso, e alla celebrazione partecipano molti di quelli che formalmente dovrebbero schiumare rabbia. Nulla che ricordi le divisioni profondissime che accompagnarono la legge sul divorzio o quella sull’aborto, e lo si può capire. Quelle leggi comportavano davvero un cambiamento nella struttura profonda del Paese. Qui la politica si limita a rincorrere, senza raggiungerle in pieno, modifiche del senso comune che sono già compiute.

Tra Paola Concia, tornata in Italia dalla Germania dove è regolarmente coniugata con la sua compagna per candidarsi a Roma e che tripudia abbracciando amiche e nemiche, la Boschi che sfoggia la coccarda arcobaleno, la madrina Monica Cirinnà che cinguetta più gioiosa degli uccellini in un film Disney, c’è poco spazio per veri malanimi, ma solo per la propaganda facile. Salvini s’infila nel pertugio: «Invito i sindaci della Lega a disobbedire». Cosa significhi in concreto è oscuro. La legge prevede la registrazione dell’unione di fronte a un ufficiale di stato civile. Il primo cittadino riottoso dovrebbe rifiutarsi di riconoscere questo status a qualsiasi funzionario intendesse presenziare alla registrazione, sollevando un po’ di clamore mediatico ma senza alcuna possibilità di impedire alcunché. Renzi lo chiarisce in serata: «Il Comune non può rifiutarsi, per legge». Ma tant’è. Visto la risonanza, indebita, ottenuta da Marchini, al quale si è aggunto ieri il sindaco di Padova Bitonci, perché non giocarsi la carta acchiappa voti alla vigilia delle amministrative? Giorgia Meloni è più seria e dichiara di voler fare, se eletta, la sola cosa che un sindaco dissidente può fare: non presenziare di persona alla registrazione. Le coppie in procinto di unirsi se ne faranno una ragione senza sforzo.

Qualcuno che mastica davvero amaro in realtà c’è: sono gli esponenti del centrodestra che oggi stesso annunceranno in conferenza stampa il referendum abrogativo. Proprio i nomi che chiunque si aspetterebbe di trovare impegnati in simile impresa, Giovanardi, Quagliariello, la stessa Meloni, Sacconi, Gasparri, Malan. Qualcuno lo fa per propaganda. Molti ci credono davvero, ma che sperino sinceramente di poter vincere è più impossibile che improbabile.

Renzi ha ragione di festeggiare anche per quanto riguarda la sua immagine. Dalla vicenda esce bene. È vero che anche dopo questa legge l’Italia rimane in ritardo rispetto a molti Paesi occidentali e soprattutto rispetto al comune sentire dei suoi stessi cittadini. Ma è anche vero che il ragazzo di Rignano ha raggiunto un risultato che era sfuggito per 10 anni e più, sommerso da una marea di sigle, dai Pacs ai Dico, e da quella estenuante mediazione continua fatale alle coalizioni di centrosinistra.

Il premier avrebbe potuto evitare il ricorso alla fiducia senza rischi. Una volta moncata del capitolo sulle adozioni gay, rinviato a una legge che lui stesso ha ammesso ieri non poter passare in questa legislatura («Non so se ci sono le condizioni»), Renzi aveva poco da temere dal dissenso interno. Ha deciso di forzare per non perdere tempo e apparire come il leader che ha sbloccato d’autorità la situazione giusto in tempo per le elezioni amministrative. I malumori dei vescovi non lo turbano, prima di tutto perché, nonostante i titoli a effetto di molti giornali, la protesta della Cei è stata in realtà molto contenuta e sobria, certo non tale da far presagire una martellante campagna ostile. In secondo luogo perché nella città dove l’ostilità del mondo cattolico sarebbe più minacciosa, Roma, la partita è già data per persa e anche dal punto di vista elettorale riconquistare voti a sinistra appare molto più urgente che non rincorrere quelli dell’ala integralista del cattolicesimo.

Resta l’incognita del referendum di ottobre. Gandolfini e le truppe del Family Day minacciano la rappresaglia. Ma il referendum è lontano e, con una legge condivisa da moltissimi cattolici, su quel fronte Renzi può stare tranquillo.