Come sempre più spesso capita in America Latina, anche per le elezioni presidenziali di oggi in Paraguay le forze popolari sembrano non avere altra scelta che quella tra il peggio e il meno peggio. Il peggio è sicuramente Mario Abdo Benítez, figlio dell’omonimo segretario privato del dittatore Alfredo Stroessner e candidato del Partido Colorado. Cioè di quel partito che, dopo aver liquidato nel 2012, con un colpo di Stato di nuova generazione, la fastidiosa parentesi presidenziale dell’ex vescovo Fernando Lugo, si era ripreso senza sforzo il potere esercitato ininterrottamente per 61 anni (1946-2008. A dimostrazione – come in Honduras nel 2009 e come poi sarebbe avvenuto in Brasile nel 2016 – di quanto risulti efficace per le élite latinoamericane la strada del golpe istituzionale.

A GUIDARE il Partito Colorado alla riconquista del governo era stato l’imprenditore Horacio Cartes, «il re del tabacco», che aveva avuto la meglio sul candidato del Partito Liberale Radicale Autentico (Plra) Efraín Alegre, già ministro delle Opere Pubbliche nel governo Lugo: una partita tutta giocata in casa dell’oligarchia, al servizio della quale i due partiti si erano alleati per rovesciare, tramite impeachment, l’odiato ex vescovo. E il fatto che sia proprio Efraín Alegre a rappresentare il meno peggio la dice lunga sulla situazione politica paraguayana.

Fiero difensore del grande capitale privato, meglio ancora se straniero, Alegre è il candidato dell’Alianza Ganar, riproposizione della coalizione tra Plra e Frente Guasú (e di altri partiti minori del centro-sinistra) che, nel 2008, aveva condotto alla vittoria Fernando Lugo – oggi presidente del Senato -, prima che Alegre contribuisse a destituirlo, dopo essersi attivamente impegnato a sabotare il suo programma di governo. A fargli da vice, in rappresentanza del Frente Guasú, è il giornalista Leo Rubin, noto difensore dell’ambiente e dei popoli originari, collocato su una linea decisamente più progressista. «Sappiamo che il Plra da solo non potrebbe vincere – ha spiegato Rubin – e neppure noi, almeno stavolta. C’erano due opzioni: restare a braccia conserte o allearci sulla base di un programma ben definito, pensando al bene del Paese». Di certo, si deve soprattutto a lui se il programma di Ganar prevede, tra altri punti, il recupero della sovranità energetica (attraverso la rinegoziazione dei trattati sottoscritti da Stroessner con Brasile e Argentina); la promozione di un’autentica riforma agraria, lotta alla deforestazione, rispetto diritti dei popoli indigeni, accesso gratuito alla salute e un’educazione di qualità.

IL RISCHIO, è chiaro, è che questi punti restino sulla carta, proprio come era avvenuto durante la presidenza di Lugo, il quale aveva speso le sue energie a fare una concessione dopo l’altra alla destra anziché cercare il sostegno del popolo che lo aveva votato, accogliendone le rivendicazioni storiche. Ma, perlomeno, la presenza di questi temi fa la differenza rispetto al programma di Mario Abdo Benítez, schierato su una linea di continuità con il reazionario governo di Horacio Cartes. Il quale, in realtà, ci aveva anche provato a ripresentarsi per un secondo mandato, ma aveva dovuto rinunciare un anno fa per le violente manifestazioni contro il disegno di legge sulla rielezione presidenziale (appoggiato anche da Lugo, pure lui interessato a ricandidarsi), durante le quali il Parlamento era stato dato alle fiamme e un giovane era rimasto ucciso negli scontri tra polizia e opposizione.