All’improvviso sono tutti d’accordo. Enrico Letta propone di far votare i sedicenni – voto alle elezioni politiche, si sottintende – e subito Di Maio ricorda che è una vecchia idea del Movimento 5 Stelle, Zingaretti dice che lui la pensa così «da sempre», la Lega rivendica di aver presentato una proposta di legge tre anni fa e persino il presidente del Consiglio Conte dichiara di essere favorevole. Anche Forza Italia non dice no, «magari cominciando dalle amministrative», precisa la senatrice Bernini. «A questo punto non ci sono più alibi», commenta Letta alla fine della giostra, mentre #votoaisedicenni diventa trending topic su twitter. «È una riforma costituzionale che con questa maggioranza si può fare in un anno… per prendere sul serio i giovani in piazza», spiega l’ex presidente del Consiglio a Repubblica. Se fosse approvata, la riforma allargherebbe l’esercizio del voto politico a oltre un milione e centomila ragazze e ragazzi – tanti sono i 16 e 17enni italiani secondo l’Istat.

Ma c’è un’altra riforma costituzionale che allargherebbe invece l’elettorato «attivo» (il diritto di votare) a quasi cinque milioni di giovani ed è già stata approvata in prima lettura dalla camera. Si tratta dell’allargamento ai 18-24enni del voto per il senato della Repubblica, che dall’entrata in vigore della Costituzione è riservato a chi ha già compiuto 25 anni. È un disegno di legge già sotto i riflettori, perché è quello che dovrebbe essere utilizzato come veicolo per introdurre le «garanzie contestuali» chieste dal Pd e Leu per dare il via libera al taglio dei parlamentari (che proprio oggi sarà approvato dalla prima commissione della camera). All’inizio dell’estate, a Montecitorio si era raggiunta l’intesa per allargare anche l’elettorato «passivo», cioè il diritto di essere votati ed eletti, che attualmente per il senato italiano è addirittura fissato a 40 anni (quando persino per entrare nella camera dei Lord di Londra, dove si accede per nomina o diritto dinastico, basta avere 21 anni). Raggiunta l’intesa, i deputati avevano deciso di lasciare l’onore di abbassare l’età dell’elettorato passivo per il senato agli stessi senatori. L’idea era quella di scendere da 40 a 25 anni, in modo da rendere gli elettorati di camera e senato perfettamente identici.

Anche questa è una soluzione moderata, visto che l’Italia resterebbe, assieme alla Grecia, il paese europeo con l’elettorato passivo fissato all’età più alta. Ovunque in Europa alle elezioni politiche nazionali si può votare ed essere eletti a 18 anni, salvo in Irlanda dove servono 21 anni per entrare in parlamento. Mentre da undici anni a questa parte in Austria per la Nationalrat votano anche i sedicenni. È l’unica nazione europea dove si acquista il diritto di voto prima della maggiore età ed è quella citata ieri da Di Maio per dire che «in alcuni paesi il voto ai sedicenni è già previsto», assieme «all’Argentina e al Brasile» (dove però il voto è un dovere solo dopo la maggiore età) e ad «alcuni Länder tedeschi» (la maggioranza, per la verità).

Al riparo dalla dichiarazioni di entusiasmo, in realtà tra chi nel Pd sta seguendo il dossier delle riforme si registra una certa prudenza. Prima di allargare il voto ai sedicenni, si spiega, è il caso di portare a compimento il discorso dell’abbassamento degli elettorati attivi e passivi del senato. Anche perché il rischio è che, rallentando l’iter del disegno di legge in questione, si finisca con il ritardare il «treno» delle riforme costituzionali collegate al taglio dei parlamentari. «Il parlamento ha una sua autonomia, intanto andiamo avanti sul voto per i diciottenni al senato, poi ci sarà tempo per discutere», ha detto infatti il capogruppo del Pd alla camera, Delrio.
Intanto ieri gli emissari della Lega hanno presentato in corte di Cassazione le domande di referendum abrogativo con le quali intendono trasformare l’attuale legge elettorale in un sistema puramente maggioritario, dove tutti i seggi sono assegnati in sfide uninominali. Il senatore leghista Calderoli che ha ideato i quesiti ha definito la legge elettorale che verrebbe fuori da un’eventuale vittoria dei sì «Popolarellum». Ma è assai improbabile che la Corte costituzionale possa ammettere un quesito referendario che rimanda l’operatività della legge elettorale a un successivo decreto del governo (quello che disegna i collegi). Per saperlo, però, bisognerà aspettare la fine di gennaio.