Cinque milioni di copie: sono quelle denunciate dal film di Michelangelo Antonioni L’amorosa menzogna. Così, secondo il regista vendevano i fotoromanzi, storie d’amore in fumetti che narravano la società italiana e la voglia di lasciarsi le macerie alle spalle.

Forse bisognerà contarne qualche milione in meno, ma certo la loro diffusione dagli anni 50 fu capillare e, in una società che cercava di risollevarsi dalla guerra, finirono per nutrire un immaginario di desideri proibiti, in bilico tra tentazioni reazionarie e altre ribelliste, creando una carrellata di divi di carta che invadevano i chioschi dei giornalai e i soggiorni delle case.

La mostra Fotoromanzo e poi, allo Spazio Gerra di Reggio Emilia, inauguratasi nell’ambito del Festival europeo di fotografia (a cura di Associazione Ics e Laura Gasparini, visitabile fino al 17 giugno) narra la biografia di un prodotto editoriale che, nonostante l’avvento del web e delle storie effimere pubblicate su Istagram, non ha ancora visto la sua fine, rinascendo a nuova vita in riviste, su internet e diventando materia di studio per gli accorgimenti grafici, il «montaggio delle emozioni», la fabbricazione del mito, il taglio espressionista delle immagini (alternanza primi piani, campi lunghi, esterni/interni, etc).

È così contemporaneo che si è pensato di continuarlo pure in mostra, dando l’avvio a un racconto digitale che riproduce oggi un soggetto di Cesare Zavattini scritto per la Bolero Film nel 1961 e subito trasformatosi in un fotoromanzo a puntate col titolo La colpa (con happy end non previsto nell’originale). Il testo dattiloscritto di Zavattini è stato ripescato dagli archivi della sua fondazione nella biblioteca Panizzi. Il tema snocciolato è attualissimo: al centro degli accadimenti, c’è uno stupro e l’isolamento sociale che ne consegue per la ragazza-vittima, marchiata d’infamia.

Ma la rassegna, assai ben congegnata, offre l’occasione per addentrarsi nelle tumultuose vicende politiche del fotoromanzo, da Famiglia Cristiana a Noi donne fino al Pci. Paola Pitagora, per esempio, ne Il segreto propagandava l’uso contraccettivo della pillola. Il partito comunista ebbe un atteggiamento controverso nei riguardi dei fotoromanzi.

Da una parte, furono considerati prodotti di sottocultura di derivazione americana, dall’altra suscitarono interesse come mezzo di comunicazione leggero e invasivo, che facilmente raggiungeva le zone rurali. Come il fotoromanzo siciliano Per chi vota Caterina Pipitone (1953) che testimoniava il disagio delle classi meno abbienti per favorire il Pci alle elezioni. O, fra gli altri, L’amore vince sempre del ’55 che si diffuse a Roma come opuscolo di propaganda.