Dunque siamo ancora appesi ai click della «piattaforma Rousseau», e forse ai capricci di Di Maio, e poi ai parlamentari in procinto ora di «cambiar casacca», ma con la garanzia di non «perdere la poltrona».

Bisognerà tornare sul lessico – parole chiave e parole non dette – della pazza crisi. Ma intanto sbizzarriamoci per qualche ora con la fantasia, avanziamo modeste proposte, accogliamo anche i surreali inviti del redivivo Grillo, riconoscendo la straordinarietà del momento che attraversiamo, nel mondo intero, e affrontando problemi drammatici con un po’ di ironia e di piacere di vivere, lottare, e persino governare.

Il vecchio Pci si autodefiniva «di lotta e di governo». Una cosa seria. Però che fatica! E che noia! Sempre lì a lottare e a governare…. (a volte ci si divertiva agli stand delle Feste dell’Unità. Sarà per questo che il nome è misteriosamente, fantasmaticamente sopravvissuto a quel giornale e a quel partito?)
A Roma da un po’ di anni ci sono donne che a modo loro lottano e governano in uno stabile vicino alla Tusculana, abbandonato da molti più anni dall’Atac, l’ente che dovrebbe assicurare alla città una mobilità decente, ma ne sembra costitutivamente incapace.

Hanno scelto per la loro impresa un nome meraviglioso: «Lucha y Siesta». È l’ironica onomatopeica allusione alla via Lucio Sestio, dove hanno sede (con tanto di fermata della metropolitana, sempre che arrivi).

Per inciso, Lucio Sestio fu uno dei primi tribuni della plebe nell’antica Roma: lui si batteva per ridurre e dilazionare i debiti dei poveri e per limitare la proprietà terriera.

Ma il nome allude anche alla vivacità delle battaglie popolari in America Latina, e alla tendenza a valorizzare il riposo e la ricreazione propria di tanti popoli del Sud del mondo, a noi mediterranei ben nota, e per quanto mi riguarda simpateticamente condivisa.

«Lucha y Siesta» si batte per la libertà femminile e contro le violenze maschili, ospita un gruppo di donne e bambini che si sottraggono ai loro persecutori (mariti, compagni, padri depravati ecc.). Ma nonostante la serietà e gravità di queste sofferenze la loro casa è un luogo aperto e accogliente, dove si discute, si impara, ci si diverte e si fa festa.

Ora tutto questo è messo in discussione dalla decisione di Atac e del Comune di Roma di «sgomberare» lo stabile che deve essere «messo a reddito» ( Atac, oltre a non essere capace di far funzionare gli autobus è anche sull’orlo del fallimento). La cosa dovrebbe accadere tra pochi giorni, il 15 settembre, e pare che la sindaca Raggi non abbia ancora nemmeno offerto una alternativa.

Mi sembra immorale e inaccettabile. «Lucha y Siesta» già produce un «reddito» incalcolabile in termini di servizio, cultura, civiltà.

I proprietari e gli amministratori non hanno l’autorità morale, ammesso che abbiano quella giuridica, per compiere un simile odioso gesto, che contraddice centinaia di promesse retoriche di combattere la violenza maschile contro le donne. Questo gesto sarebbe proprio una violenza contro le donne.

La nascente (?) alleanza giallorossa avrebbe qui l’occasione di fare una cosa buona: riconoscere il valore di questo luogo – come d altri in simili situazioni – e delle donne che lo animano.

Lo dico a chi ha gli strumenti per intervenire: la sindaca Raggi, il presidente della Regione Lazio Zingaretti, il sottosegretario alle pari opportunità Spadafora, lo stesso concittadino Grillo, che parla di una «rivoluzione antropologica», e forse dovrebbe spiegarci un po’ meglio che cosa intenda.

E perché no, al «nuovo umanista» Conte. Ispiratevi al compagno Lucio Sestio!