Il nodo aperto dalla (sacrosanta) sentenza della Corte costituzionale sulle pensioni sembra solo al debutto. Ieri al già complicato quadro si è aggiunta la Ue, che ha lanciato un monito all’Italia: qualsiasi aggravio nel bilancio dovrà essere attentamente «coperto». Pare riaprirsi quindi un contenzioso con Bruxelles che il ministro Pier Carlo Padoan e il governo davano già per chiuso. Ma non basta: il Nens ha calcolato che il risarcimento potrebbe costare fino a 16 miliardi, mentre la Cgil ha chiesto una patrimoniale per reperire le risorse, e il ministro Giuliano Poletti ha già risposto con un nettissimo rifiuto.

Innanzitutto vediamo cosa dicono alla Commissione europea, che ieri non si è esposta con le figure istituzionali ma ha preferito far pronunciare una fonte interna: il messaggio, comunque, c’è tutto. «Aspettiamo di vedere come il governo applicherà la sentenza» della Consulta sulle pensioni, ma «qualsiasi cosa cambi gli obiettivi di bilancio del documento di programmazione finanziaria» dell’Italia «deve essere compensato», hanno spiegato a Bruxelles.

Ma il problema non si presenta a breve, hanno puntualizzato alla Ue: la sentenza della Corte costituzionale e le sue conseguenze sul bilancio italiano, non essendo ancora state formalmente quantificate e definite in provvedimenti, non saranno infatti prese in considerazione nelle previsioni economiche di primavera della Commissione che verranno presentate oggi.

La sentenza, lo ricordiamo, impone allo Stato di risarcire circa 6 milioni di pensionati per il blocco dell’adeguamento dei loro assegni deciso dal governo Monti nel 2011 (decreto «Salva-Italia», presentato come provvedimento di emergenza), e valido per il biennio 2012-2013. Ma quello che oggi tanti definiscono il «maltolto» (da Carmelo Barbagallo della Uil fino a Federconsumatori-Adusbef) non si limita solo a quei anni, ma sconta un “effetto trascinamento” che si ripercuote fino a oggi e fa lievitare a dismisura il già salato conto.

Un calcolo ieri è venuto fuori dal Nens, prestigiosa associazione di economisti che vede tra i suoi fondatori Vincenzo Visco: secondo uno studio che porta la firma di Antonio Misiani, il pregresso 2012-2015 da rimborsare «potrebbe raggiungere la cifra di 16,6 miliardi». «A queste cifre – aggiunge l’esperto del Nens – andrebbero aggiunti gli interessi maturati». Dal 2016, inoltre, «per compensare i futuri risparmi di spesa annullati dalla sentenza, dovrebbe essere reperita una cifra annua pari a 4,7 miliardi».

Debiti su debiti, quindi. E la Cgil avanza una proposta: quella di attingere quanto necessario da una «patrimoniale sui più ricchi», idea che non è affatto nuova per il sindacato guidato da Susanna Camusso. Da tempo, infatti, i cigiellini chiedono di far pagare un Piano straordinario del lavoro a chi vive nel lusso, con una sorta di perequazione solidale. Più in generale, anzi, Camusso chiede che si metta mano ai portafogli dei ricchi (e non della classe media) per «cambiare tutta la legge Fornero, senza che ciò escluda una più ampia riforma del fisco».

Ipotesi bocciata da Giuliano Poletti, ministro del Welfare: «È ancora presto per fare valutazioni» sugli effetti della sentenza della Consulta, ha spiegato, anche se «sicuramente non faremo una patrimoniale» perché «il nostro governo vuole ridurre le tasse e non aumentarle».

Sulla sentenza ieri si è espresso anche il Pd, con il responsabile economico Filippo Taddei: «La Consulta dice che la pensione è retribuzione differita, allora deve essere proporzionale ai contributi versati. Se è così, vanno riallineati i benefici pensionistici ai contributi effettivamente versati, mantenendo l’equità, quindi intervenendo solo su quelle più alte», ha spiegato. «Le pensioni più basse vanno tutelate, così come dobbiamo tenere le risorse che abbiamo per la lotta alla povertà», ha aggiunto, facendo prevedere che forse le restituzioni verranno fatte soltanto a chi aveva le pensioni più basse, escludendo quindi quelli con assegni più alti.