Si colloca nel solco di una «politica memoriale» la commemorazione, svolta alla presenza della Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e del Presidente del Parlamento David Sassoli fatta domenica presso il campo d’internamento di Fossoli in occasione del 77esimo anniversario dell’eccidio nazifascista di 67 internati politici.

Una «politica memoriale» che da tempo le istituzioni dell’Unione europea vanno disponendo non solo al loro interno ma soprattutto nel discorso pubblico sul passato.

«È particolarmente toccante per me – ha dichiarato von der Leyen nel suo intervento – essere qui come europea di nazionalità tedesca. È stato un soldato tedesco a ordinare di uccidere i vostri genitori e i vostri nonni. È una colpa profonda del mio Paese».

Disegnata lungo direttrici che coniugano, come perno della ricostruzione storica del continente, da un lato l’assunzione della «colpa» tedesca e dall’altro la centralità del paradigma vittimario come modalità egemone del racconto, la composizione della memoria europea ha sistematizzato la rielaborazione dei crimini di guerra commessi nel corso del secondo conflitto mondiale focalizzandone la «questione morale» anziché la leva storica di significazione valoriale.

Su questo pesa molto, soprattutto rispetto ai crimini contro le popolazioni civili perpetrati negli scenari di guerra odierni, l’assenza di una sanzione economica ovvero dei risarcimenti ai parenti delle vittime.

La Germania, infatti, pur riconoscendosi «moralmente» colpevole ha sempre rifiutato di rifondere i familiari delle vittime nonostante la sentenza della Corte Costituzionale italiana del 2014 abbia reso illegittima la precedente pronuncia della Corte dell’Aia del 2012 che stabiliva l’immunità per lo Stato tedesco.

Ancor più grave il fatto che l’Italia, dal 2008, abbia attivato l’Avvocatura dello Stato in favore della Repubblica Federale Tedesca contro i familiari ed i sopravvissuti delle vittime delle stragi.

A sottolineare il nesso tra il valore dei risarcimenti per le violenze di ieri e l’effetto deterrente, o viceversa moltiplicatore, della violenza di oggi sui civili fu Lido Lazzerini (che perse il padre e gli zii nella strage nazista di Fivizzano del 1944) nel suo intervento all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2020 a Firenze in rappresentanza dei familiari delle vittime di Fivizzano e del Padule di Fucecchio; delle Associazioni di Marzabotto e Sant’Anna di Stazzema; dei familiari dei militari caduti a Cefalonia.

«Lo Stato tedesco – disse Lazzerini – si è rivolto alla Corte internazionale di giustizia, all’Aia, che nel 2012 l’ha protetto. All’immunità degli Stati, l’Aia ha dato valore generale, anche per i crimini commessi oggi. Il sangue dei nostri cari è diventato l’occasione per una licenza di uccidere».

La questione dei risarcimenti rappresenta uno degli «irrisolti» della vicenda europea del secondo dopoguerra. Elusa all’indomani della fine della secondo conflitto mondiale in ragione della «realpolitik» della Guerra Fredda (la necessità di riorganizzare sul piano politico-economico-militare i Paesi della Nato in funzione anticomunista) essa è oggi tornata materia incandescente nei rapporti tra gli Stati membri della UE e non solo.

Basti pensare ai contenziosi emersi tra la Polonia sovranista che rivendica i pagamenti e la Germania europeista che si oppone. Oppure, in un rovesciamento delle parti, lo scontro diplomatico tra il governo di Varsavia e lo Stato d’Israele riguardo la legge votata dalla Camera bassa del Parlamento polacco nel giugno 2021 che limita, rendendole di fatto impossibili, le richieste di risarcimento dei beni confiscati agli ebrei durante la seconda guerra mondiale. Un provvedimento legislativo commentato perentoriamente dal premier Morawiecki «finché sarò primo ministro non pagheremo mai per i crimini altrui» e che si lega alle leggi sulla storia di segno regressivo promulgate a Varsavia come a Budapest (in Polonia è vietato per legge associare la Shoah alle responsabilità dei polacchi).

È all’interno di questa dimensione, insieme storica e politica, che si rintracciano le ragioni della storia come «orizzonte di senso» in grado di rappresentare non solo da dove veniamo e quale percorso abbiamo attraversato ma anche il perché siamo ciò che siamo. Una bussola indispensabile per comprendere dove ci stiamo dirigendo.