«Volvieron». Sono tornati. È il refrain ripetuto dai blog cubani e rappresentato ieri dalla grande foto in prima pagina del quotidiano del pc Granma, con il presidente Raúl Castro – in divisa da generale – e i «cinque eroi antiterroristi» – Gerardo Hernández, Ramón Labañino, Antonio Guerrero – scambiati con il contrattista americano Alan Gross e con René González e Fernando González.

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Dopo lo shock emotivo dell’annuncio del presidente Raúl Castro della fine del cinquantennale conflitto diplomatico con gli Stati uniti, i cubani si sono concessi mercoledì notte la grande gioia del «ritorno a casa» dei tre «cubani ingiustamente carcerati», del loro abbraccio con i famigliari e, finalmente, con il presidente. Le immagini passate in televisione hanno dato la sensazione concreta che qualcosa di grande e insperato sia accaduto. Che la promessa di Fidel, che nel 2001 aveva assicurato «Volverán» – cioè che li avrebbe «riportati a casa» – è stata mantenuta. Già nel pomeriggio nelle strade centrali dell’Avana erano iniziate manifestazioni spontanee per la «vittoria di Cuba». A mobilitarsi, soprattutto gli studenti universitari – «Tirate de la cama» , salta giù dal letto, recitava un cartello – per celebrare la fine del cinquantennale conflitto diplomatico e – si spera- politico ed economico con il potente vicino nordamericano. Anche nelle scuole, come nelle elementari di mio figlio, i bambini sono scesi nell’atrio, dove quasi sempre sono appese le foto dei «cinque» per celebrare un evento storico. «Non c’è bisogno di essere grande per essere cubano», esclamava un ragazzino delle primarie «Guerrigliero eroico» (Che Guevara), esponente di una generazione che, forse, potrà crescere in un’epoca in cui – come ha affermato Raúl Castro- Cuba e Usa imparino «a convivere in forma civile» nonostante le differenze. E, soprattutto, senza essere oggetto delle enormi restrizioni imposte del blocco economico statunitense che ha danneggiato soprattutto i giovani cubani (scarsezza di materiali sanitari necessari per curarli, ma anche degli elementari strumenti moderni per aiutare l’istruzione).

Anche nell’Assemblea popolare, dove da martedì i deputati cubani esaminano il corso delle riforme economico-sociali promosse dal governo e soprattutto le prospettive economiche in un periodo di difficile crisi internazionale – le reazioni sono state prima di tutto emotive. La caduta del muro diplomatico che per più di mezzo secolo ha separato le due sponde del golfo di Florida non comportano automaticamente un processo di risoluzione del conflitto politico. E soprattutto la fine dell’embargo che nella difficile congiuntura cubana ha un peso, anche rilevante, ma certo non costituisce il nocciolo strategico dei cambiamenti in corso. E su questo terreno, appunto, le reazioni ufficiali sono più sfumate. Il cammino da compiere è lungo e pieno di ostacoli, come dimostra la volontà del vertice del Partito repubblicano statunitense – in testa i rappresentanti della linea dura dei cubano-americani di Miami – di dare battaglia al presidente Obama. Che ieri, attraverso il suo portavoce Josh Earnest, non ha escluso «una visita del presidente Castro» negli States.

Chi invece sembra avere pochi dubbi in proposito sono i leader della dissidenza e della debole e divisa opposizione cubana. La maggioranza si è espressa in modo fortemente critico nei confronti della decisione di Obama di abbattere il muro diplomatico e di iniziare un processo nel quale le differenze politiche – diritti umani, democrazia rappresentativa, libertà sindacali e di stampa – siano oggetto di un dialogo e non di una politica di ingerenza e di governmente changing. Ancora una volta si è distinta la superbloguera Yoani Sánchez, anche perché, secondo l’analisi dello storico Enrique Lopez Oliva, vede cadere la speranza di «essere individuata come la leader di un cambio a Cuba e si vede ridotta a una pedina quasi insignificante». Altri, nella sfera dei blog legati al governo, sono ben più duri e affermano che in futuro sarà «meno redditizio» il «mestiere di oppositore».

Marta Roque, che ha partecipato a una riunione indetta dalla sezione di interesse Usa (futura ambasciata) all’Avana con i leader dell’opposizione, si è limitata a un laconico «Vedremo gli sviluppi e quali prigionieri politici saranno messi in libertà». Più costruttivo Rafael Rojas, direttore di Convivencia, il quale ha esortato a cogliere l’apertura americana come «un’opportunità e non un ostacolo per guadagnare visibilità» nella società cubana. Un consiglio per ora poco ascoltato. Anche ieri nei blog dell’opposizione veniva amplifcato un tema che, in effetti, suscita perplessità nella popolazione, oltre che tra gli analisti. Perché, almeno fino al momento in cui scriviamo, non si sia espresso Fidel Castro, che pur avendo lasciato al fratello minore la gestione politica del paese, rimane il lider maximo. Le speculazioni su un aggravamento del suo stato di salute arrivano a figurare un Fidel da giorni incapace di esprimersi, se non in coma – come ha affermato ieri un ex agente della Cia riconvertitosi in analista Usa. E che la sua morte sarà annunciata nei prossimi giorni. Si tratta di speculazioni che non hanno nemmeno il sapore della novità, ma di certo la preoccupazione si avverte tra i cubani.

La «nuova era» che si apre vede la Chiesa cattolica cubana «che si conferma come un attore politico di peso nell’isola», secondo quando afferma il professore di Storia delle religioni, Lopez Oliva. Papa Francesco – argomenta – «ha avuto un ruolo strategico» nel favorire l’apertura di un dialogo tra Usa e Cuba, come hanno pubblicamente riconosciuto i due presidenti. Pochi minuti dopo le loro dichiarazioni, infatti, la segretaria di Stato del Vaticano ha emesso un comunicato per informare che «nel corso degli ultimi mesi» Jorge Mario Bergoglio aveva scritto una lettera a entrambi i leader «invitandoli a risolvere le questioni umanitarie di comune interesse, come la situazione di alcuni detenuti». Questi temi, come anche la lotta all’estremismo armato islamico e più in generale la situazione in Medio oriente, sono stati l’oggetto di un colloquio faccia a faccia che Obama ha avuto lo scorso marzo con il pontefice. Non solo, il Vaticano è impegnato anche sul fronte della «nuova rottura», quella tra Usa e Venezuela. Dunque, papa Francesco si presenta come «il gran mediatore» e il suo carisma personale e la forza della diplomazia Vaticana – presente in tutta l’America latina- rappresentano, per Lopez Oliva, «un gran sostegno» alla Chiesa cattolica cubana. «Questo è solo il primo passo, al quale ne seguiranno altri che dovranno affrontare la sostanza politica e sociale del cinquantennale conflitto. Il segretario di Stato Kerry verrà a Cuba, come ha annunciato, ed è molto probabile che in queste occasioni la Chiesa continuerà la sua opera di mediazione. Il cardinale cubano Ortega è uno dei consiglieri del papa». Di fatto, secondo il professore – il presidente cubano affida alla Chiesa cattolica un ruolo di alleato-oppositore che taglia l’erba sotto i piedi all’opposizione cubana. E in controluce «si avverte la creazione di un movimento politico cattolico» che al momento di una futura apertura politica a Cuba potrà giocare il ruolo di una Democrazia cristiana.

Infine, il professore concorda con quanto detto mercoledì da Eusebio Leal, il famoso Istoriador dell’Avana e principale artefice del processo di restauro dell’Avana coloniale (Habana Vieja). Ovvero che l’operato della Chiesa si intreccia con la religiosità afro-cubana, sincretica con quella cattolica – e che, specie in un periodo di crisi come quello l’attuale, presenta una forte crescita in tutta l’isola.

L’apertura tra Cuba e Usa coincide con i grandi festeggiamenti popolari in tutta l’isola – messe comprese – per celebrare San Lazaro, per la santeria afro-cubana l’orisha Babalù Ayé. Nelle strade dell’Avana nella notte di mercoledì l’apertura americana è stata vista anche come un «miracolo di Babalù Ayé» e così salutata da migliaia e migliaia di persone. In fondo, il cittadino comune, il cubano de a pié, è stato colto di sorpresa dal grande annuncio e dalle prospettive che si aprono e di cui è difficile valutare gli sviluppi. E dunque, spesso ha reagito aggrappandosi alla vita – difficile – di tutti i giorni augurandosi che la rottura del muro con gli Usa comporti benefici concreti: più prodotti nei negozi e a prezzi più bassi, un migliramento dei trasporti e così via. E come spesso fa chiede aiuto a San Lazaro.