Il numero uno della Volkswagen si è dimesso. Nel pomeriggio di ieri è giunta la notizia che tutti attendevano: il potentissimo Martin Winterkorn si arrende e cede lo scettro della più importante azienda automobilistica d’Europa e – stando alle vendite del primo semestre 2015 – del mondo.

La presidenza del consiglio di sorveglianza (Aufischtsrat) dell’impresa, riunitasi ieri a Wolfsburg, ha chiesto la sua testa, ottenendola dopo ore di discussione: l’amministratore delegato, infatti, era entrato in riunione convinto di poter restare al proprio posto. Da Berlino non arrivavano segnali esplicitamente negativi, e Winterkorn sperava di poter vincere l’ostilità del governatore della Bassa Sassonia, il socialdemocratico Stephan Weil, membro del consiglio in virtù della quota di proprietà (20%) detenuta dal suo Land. Evidentemente, a ritenere che le dimissioni del supermanager fossero inevitabili non era il solo Weil, ma anche gli altri componenti dell’organismo di controllo e indirizzo, fra i quali l’influente capo del sindacato nell’impresa, Bernd Osterloh, e il rappresentante della famiglia Porsche, che possiede un terzo della Volkswagen Spa. Venerdì si conoscerà il nome del successore di Winterkorn.

E così lo scandalo delle auto diesel truccate per nascondere i dati sulle emissioni ha la sua prima vittima eccellente. Potrebbe non essere l’ultima, soprattutto se ci saranno ripercussioni della vicenda sul fronte politico. Contro i sospetti che gravano sul proprio operato, o meglio, sulle proprie omissioni, l’esecutivo tedesco si difende con veemenza. «False e indecenti»: così il ministro dei trasporti, Alexander Dobrindt, bolla le accuse di essere stato a conoscenza della frode della Volkswagen. «Ne ho appreso dai giornali, come tutti», sostiene l’esponente dell’Unione cristiano-sociale (Csu), partito-fratello della Cdu della cancelliera Angela Merkel in Baviera. Una versione che non convince il vice-capogruppo parlamentare dei Verdi, Oliver Krischer, che insiste puntando il dito contro «l’ipocrisia» del ministro, che non avrebbe fatto nulla pur essendo perfettamente al corrente della «possibilità» che i dati sulle emissioni forniti dalle case automobilistiche da anni non corrispondessero a quelli reali.

Gli ecologisti si fanno sentire anche a livello europeo. La capogruppo dei Verdi a Strasburgo, la tedesca Rebecca Horms, ha chiesto alla Commissione Ue di avviare un’inchiesta «per scoprire se Volkswagen e altri produttori europei di auto manipolano i test sulle emissioni. Non si tratta – ha aggiunto Harms – di peccati veniali, ma di crimini ai danni dell’ambiente, della salute e dei consumatori». In effetti, il prestigioso Istituto Max Planck per la chimica calcola che in Germania muoiano 7mila persone ogni anno a causa dei gas di scarico.
Alla Commissione si sono rivolti anche i governi britannico e francese, ma Bruxelles per ora continua a mantenersi defilata, lasciando che siano gli stati a darsi da fare: la portavoce Lucia Caudet ieri ha ribadito che la Commissione segue gli sviluppi del caso con attenzione, auspicando che tutti i Ventotto seguano l’esempio di Germania, Francia e Italia, Paesi nei quali si stanno avviando (o sono stati annunciati) controlli e indagini.

Nulla di paragonabile, tuttavia, a quello che è già in moto negli Stati Uniti, dove tutto è cominciato: oltre ai procedimenti in capo alla rigorosissima Epa, l’agenzia federale per l’ambiente, si è mossa anche la procura distrettuale di New York, e, stando a informazioni della Sueddeutsche Zeitung, sarebbero già almeno 40 le class action. Una tale mole di controversie legali all’orizzonte che ha «costretto» l’impresa tedesca a ingaggiare gli avvocati dello studio Kirkland & Ellis, noto per avere assunto la difesa della British Petroleum dopo il mastodontico disastro ambientale avvenuto nel 2010 nel golfo del Messico. Ai piani alti della Volkswagen, evidentemente, sanno che le dimensioni della catastrofe sono simili.

In Germania si teme ora che la caduta di una delle aziende-simbolo del Paese abbia conseguenze nefaste sull’intera economia tedesca. La Volkswagen vale da sola il 3% del pil. Particolarmente critica si profila la situazione per il Land della Bassa Sassonia, dove il gruppo ha la sua sede e i principali stabilimenti: l’economia della regione ruota, infatti, attorno all’azienda di Wolfsburg.