Lo scandalo dei controlli truccati, il cosiddetto dieselgate Volkswagen, è una ferita profonda non solo per la Germania ma per l’Europa, un danno ambientale, civile ed economico. Allo stesso tempo può costituire uno spartiacque fra un vecchio modo di guardare e difendere l’ambiente e un sistema più avanzato ed efficace di controlli che impedisca truffe ai danni della salute dei cittadini e faccia da volano per innovazione e qualità sostenibile.La crisi della casa tedesca è profonda e complessa. C’è il problema, grave, dell’inquinamento.

Ci sono le ricadute sull’economia tedesca ed italiana. Abbiamo l’aspetto simbolico e valoriale, che colpisce l’intera Europa; c’è il tema della frammentazione dei controlli. Colpisce che la truffa sia stata scoperta all’inizio da una organizzazione no-profit, e poi confermata dalla molto attendibile Epa, l’agenzia statunitense per l’ambiente.

Gli americani hanno dei limiti molto rigorosi sulle emissioni di ossidi di azoto su cui sono stati registrati gli sforamenti. In Europa, invece, vi è una maggiore attenzione sulla CO2 e sulle polveri sottili. Le pm10, le polveri sottilissime, sono da sempre uno dei punti deboli dei motori diesel e un fattore di rischio. Secondo i dati dell’Oms del 2015 le pm contribuiscono ampiamente ai 600mila morti causati ogni anno dall’inquinamento atmosferico in Europa, provocando danni per 1500 miliardi di dollari. In Italia i decessi sono valutati in 33mila l’anno e teniamo conto che tutte le nostre città sono ai limiti o fuorilegge rispetto ai parametri delle polveri sottili.

Ebbene, quel software malefico che falsificava i dati fra prove in laboratorio e resa su strada è stato applicato dappertutto. La casa tedesca si è impegnata a richiamare undici milioni di autovetture e si prepara ad affrontare multe internazionali da decine di milioni, richieste di risarcimenti e azioni penali ormai scattate in tutti i paesi occidentali. Una situazione davvero grave per un marchio considerato il più avanzato dal punto di vista ecologico.

La Volkswagen è sempre stata un’azienda particolare, con una importante partecipazione pubblica, un forte legame con il territorio e la presenza dei lavoratori nella governance, ed è per questo che auspico che i responsabili siano perseguiti con fermezza e rapidità. Ma non è ancora chiaro se alla rimozione dalle auto del software incriminato corrisponderà un rientro nei limiti delle emissioni inquinanti. E non è cosa da poco.
Dal punto di vista economico lo scandalo può zavorrare la ripresa ancora fragile. Secondo l’Anfia, il fatturato della componentistica italiana prodotta per Volkswagen è di 1,5 miliardi di euro; 4 miliardi quello verso le imprese tedesche nel loro complesso. In Italia sono ben mille i subfornitori della casa di Volksburg su 2500 aziende del comparto. Non proprio una nicchia.

Il colpo di immagine all’Europa è notevole, soprattutto per la Germania che fa del rispetto delle regole un valore totemico. Su questo aspetto si rischia un cortocircuito in vista della conferenza di Parigi sul clima. L’Europa da tempo è in prima fila nella lotta ai mutamenti climatici e da tempo chiede agli altri paesi impegni stringenti e regole più ferme. La crisi tedesca indebolisce la nostra credibilità, ma potrebbe essere un’occasione per un cambio di passo.

Emerge la necessità di imprimere una svolta nelle regole sul controllo ambientale a tutto campo in Europa e nel nostro paese. Il meccanismo di monitoraggio ambientale è troppo frammentato. Nella Ue non esiste un organismo centrale che svolga questi compiti e che abbia poteri di intervento. E’ necessario, quindi, passare ad un nuovo sistema di controlli istituendo un’Agenzia indipendente europea che si occupi di verificare i livelli di inquinamento ambientale, con poteri e strumenti efficaci di intervento a tutto campo, dalle emissioni delle autovetture a quelle industriali. Penso all’Epa, ma anche a qualcosa di più dell’Epa statunitense.

E anche in Italia c’è da mettere ordine, in generale, nel campo dei controlli. Da troppo tempo ogni Regione ha, in ambito ambientale, i suoi controllori, le sue modalità operative che diventano una babele di sigle che spesso non comunicano tra loro. Credo sia il momento di tirare fuori dalle secche del Senato la proposta di legge sulla riforma e la riorganizzazione delle agenzie ambientali di cui sono primo firmatario assieme ai colleghi Bratti (Pd) e De Rosa (M5S) e che è stata votata l’aprile dello scorso anno alla Camera. Una proposta di riordino delle varie strutture e che prevede l’istituzione di un Sistema nazionale per rafforzare i controlli, garantirne l’efficacia e renderli omogenei in tutto il Paese. Adesso è il momento di metterla all’ordine del giorno.

Servono azioni concrete, in ballo non c’è solo la questione ambientale, la salute, la credibilità dell’Europa e della Germania. C’è anche la piena acquisizione che il futuro dell’economia sta nel produrre in modo pulito e trasparente e chi non l’ha capito paga pegno. Come diceva Ghandi, «la vita non è aspettare che passi la tempesta, ma imparare a danzare sotto la pioggia».