Gujrat è una città pachistana capoluogo dell’omonimo distretto e molto vicina al confine con l’India. È qui che il padre e il fratello di Sana Cheema, una ragazza di 25 anni che risiedeva a Brescia, l’hanno uccisa. Una storia di tradizione e matrimoni combinati, complicata dal rifiuto opposto da Sana al marito propostole e da uno stile di vita che ai famigliari non andava giù. L’hanno giustiziata, come ha rivelato ieri il Giornale di Brescia, che era ormai la sua città di residenza. È stata uccisa a difesa dell’onore e della tradizione quando la ragazza ha fatto ritorno a casa probabilmente solo per far visita alla famiglia o per difendere le sue ragioni. Sana voleva tornare a Brescia e comunque voleva, come molte ragazze pachistane, fare la sua vita e dunque le sue scelte. Non glielo hanno perdonato.

SANA era venuta a vivere con la famiglia a Brescia dove aveva frequentato le scuole e iniziato un lavoro in un ufficio. E si era anche fidanzata. Ma l’uomo che voleva sposare non era quello scelto dalla famiglia, secondo un codice diffuso in gran parte del mondo e particolarmente rigido nel subcontinente indiano: in Pakistan, India, Bangladesh e anche nel vicino Afghanistan.
GUJRAT è un distretto di due milioni di abitanti nel Punjab, ed è molto lontano dalle aree tribali al confine con l’Afghanistan, dove il codice di famiglia è particolarmente rigido e le storie di violenza sulle donne sono purtroppo pane semi quotidiano. Ma anche nel Pakistan profondo e rurale le cose non vanno molto diversamente. Ad appoggiare le scelte della famiglia c’è spesso anche un consiglio degli anziani che può benedire la condanna a morte per evitare che la famiglia venga disonorata.

PACHISTANA di nascita e bresciana d’adozione, Sana non aveva voluto seguire la famiglia quando i suoi avevano deciso di spostarsi in Germania nonostante avessero ottenuto la cittadinanza italiana. La giovane decide di restare a Brescia dova studia, lavora, ha amici e adesso anche un fidanzato, l’uomo che vorrebbe sposare. Qualche mese fa però, come altre volte, decide di tornare in Pakistan per un visita che forse si prolunga più del dovuto. Sappiamo poco dei dissidi interni e di quanto siano durati. Non sappiamo se la ragazza non sia stata per esempio sequestrata, come spesso avviene. Sappiamo solo dell’omicidio e, fortunatamente, anche dell’arresto del padre e del fratello.

DA QUALCHE ANNO le cose stanno cambiando in Pakistan: c’è un movimento femminile, legato a un più ampio movimento per i diritti umani e di genere, che si è fatto strada influenzando anche il parlamento e facendo pressioni sulla polizia locale che, troppo spesso, lascia correre o non agisce con rapidità. Quello di Sana infatti, al di là dal fatto che coinvolge anche il nostro Paese, non è un caso isolato: ragazze che spariscono, donne e uomini uccisi perché non seguono il dettato famigliare, poliziotti conniventi o che chiudono un occhio.
Quanto all’Italia, torna alla mente la vicenda di Hina Saleem, la giovane trentenne arrivata in Italia all’età di 14 anni, uccisa nell’agosto del 2006 a Ponte Zanano dai famigliari e sepolta nel giardino davanti a casa. Anche lei bresciana d’adozione, voleva, come Sana, vivere a modo suo e non secondo le ataviche leggi della tradizione. Nel novembre del 2007, il padre e due cognati di Hina sono stati condannati a trent’anni di reclusione. Due anni e otto mesi invece allo zio materno, condannato per aver prestato la sua collaborazione nell’occultamento del cadavere della ragazza nel giardino di casa.